Rieccoci qui!
Dopo una lunghissima pausa di riflessione, Segui i Mangoddi torna nelle vostre inbox. Ricominciare a scrivere dopo tanto tempo è come tornare a correre dopo un lungo infortunio: c’è una grande voglia di ripartire, ma il cuore – la penna in questo caso – non batte più come prima. I vostri messaggi e la mia passione per questo spazio mi hanno però imposto di superare questo blocco dello pseudo-scrittore.
La newsletter di questa settimana la dedico quindi a tutti i colleghi e gli advisor che in questi mesi hanno cominciato una call con la domanda: “ma che fine ha fatto la newsletter?”
Ricominciamo da Telecom Italia
A marzo scorso descrivevo l’ingarbugliato dossier della rete Telecom Italia come uno stallo alla messicana:
Il cattivo: Vivendi – azionista di maggioranza relativa di Telecom con il 23% – si era dichiarata disponibile a vendere solo al di sopra di un prezzo assurdamente alto, minacciando altrimenti di continuare a tenere la rete dentro una sovra-indebitata Telecom Italia e mandandola di fatto in malora per l’impossibilità di effettuare gli investimenti necessari al suo sviluppo (arrecando un grande danno allo sviluppo del Paese);
Il buono: KKR, che aveva già comprato un pezzetto della rete Telecom (la rete secondaria), aveva messo gli occhi sulla rete primaria per sostenerne il piano di sviluppo e dalla sua posizione privilegiata minacciava di mandare all’aria qualsiasi altra transazione che non fosse la sua esercitando di veto sulla sua parte;
Il brutto: lo Stato aveva interesse a comprare la rete per farla confluire in OpenFiber e mettere in sicurezza gli investimenti del PNRR. Forte della sua Golden Share, lo Stato poteva mandare all’aria qualsiasi transazione che non lo facesse felice e tramite CdP aveva fatto un’offerta bassina pensando di poterla spuntare su tutti.
Concludevo ipotizzando che KKR e lo Stato avrebbero potuto allearsi puntando entrambi le pistole su Vivendi, massimizzando così entrambi la loro funzione di utilità. Questo era quello che scrivevo a marzo:
Ho l’impressione però che ci sarà una manovra di accerchiamento su Vivendi: KKR e CDP potrebbero coalizzarsi per spingere Telecom ad accettare un’offerta “ragionevole”, magari aiutati dalle banche e dai mercati che stanno mettendo sempre più pressione a Telecom.
Otto mesi dopo è andata proprio così… A inizio novembre è arrivata un’offerta vincolante da parte di una cordata formata da KKR al 65%, lo Stato italiano con il 20% e il fondo infrastrutturale italiano F2i al 15%. All’ultimo momento è spuntato fuori anche il fondo sovrano di Abu Dhabi (Adia), cui KKR riserverà una quota del 5-10% (presa dal suo 65%). Tutti questi soggetti saranno raggruppati in una catena societaria che parte dalla Optics Elbco Srl arrivando fino a Optics BidCo Srl, che è la società che ha materialmente sottoposto l’offerta vincolante al CdA di Telecom Italia. Presidente di Optics BidCo è James Gordon, partner di KKR Infrastructures che siede già nel consiglio di FiberCop (tanto per rendere chiara la strategia di accerchiamento a partire da FiberCop).
L’offerta
Cosa? L’offerta è per il 100% di FiberCop, il veicolo dove è confluita la rete secondaria di cui KKR Infrastructure detiene già il 37,5%. Prima dell’operazione di cessione, Telecom conferirà in FiberCop anche la rete primaria e la società Telenergia, il trader interno di energia elettrica che fornisce a Telecom Italia il 100% dei suoi fabbisogni energetici (Telecom Italia è il secondo consumatore di energia elettrica in Italia). Piccola curiosità: post transazione FiberCop non solo sarà il fornitore di servizi infrastrutturali di Telecom Italia, ma sarà anche il suo fornitore esclusivo di energia elettrica. Dalla transazione sono escluse le connessioni internazionali che sono in Sparkle, che per ora rimane in Telecom non essendo stato offerto un prezzo soddisfacente.
Quanto? 18,8 miliardi + 3,2 di earn-out legati ad alcuni eventi come un’operazione con Open Fiber e l’approvazione da parte del governo di un piano. Grazie a questa offerta Telecom ridurrà l’indebitamento finanziario di 14 miliardi. Perché solo 14 miliardi se l’offerta vale 18,8 miliardi? Perché Telecom Italia ha solo 58,0% di FiberCop. Il fatto che Telecom Italia si prenda dall’offerta un incasso netto pari al 74,4% del valore significa che conferendo il ramo d’azienda della rete primaria in FiberCop, Telecom Italia salirebbe dal 58,0% al 74,4% di FiberCop. Con qualche piccola equazioncina, si arriva così anche a determinare il peso relativo della rete primaria rispetto a quella secondaria: 8,3 miliardi per la rete primaria e 10,5 miliardi per quella secondaria (la stessa rete secondaria per la quale KKR aveva pagato 7 miliardi di euro 2 anni fa). La lentezza e l’insuccesso di Open Fiber sono stati un toccasana per i conti della rete secondaria…
Il prezzo è giusto? Il valore della rete dipende molto dai contratti e dai dipendenti che saranno assegnati a FiberCop. Quanto generoso sarà il Master Service Agreement che disciplinerà l’affitto che Telecom Italia pagherà a FiberCop per l’utilizzo della rete? Che investimenti e livelli di servizio saranno contenuti in quel Master Service Agreement? Quanti dipendenti confluiranno in FiberCop? Si parla di un EBITDA pro-forma di €2 miliardi. Un multiplo di circa 9x sull’EBITDA potrebbe essere fair, ma – come detto – la bontà del deal sarà tutto negli accordi sindacali e in ciò che verrà partorito dal confronto con gli avvocati. Qui sotto alcuni dei termini principali dell’MSA così come presentato nell’ultima trimestrale.
Nella sezione “Business Model” della slide c’è una notazione abbastanza inquietante che è: “No commitments on FTTC to FTTH” migration. In pratica Telecom Italia – che post transazione comprerà servizi infrastrutturali da NetCo all’ingrosso per rivendere servizi di telecomunicazione alla clientela retail mettendosi al pari di tutti gli altri operatori che non ha la propria rete – non prende alcun impegno a far migrare i suoi attuali clienti dalle attuali ADSL ibride (FTTC – la fibra che arriva fino all’armadietto di derivazione per strada e il doppino di rame che fa il percorso dalla strada all’appartamento) alla fibra vera (FTTH). Fintanto che possedeva l’infrastruttura di rete, Telecom Italia aveva tutto l’incentivo a favorire la migrazione degli utenti da FTTC a FTTH per far pagare di fatto a loro i costi per far arrivare la fibra nel loro appartamento. Ora che l’infrastruttura sarà di un altro soggetto, Telecom Italia non avrà incentivi a favorire lo switch finendo per pagare affitti più alti al proprietario della rete. D’altro canto, senza impegni sullo switch da FTTC a FTTH, KKR potrebbe rallentare gli investimenti sulla rete, che avrebbero un ritorno più incerto.
Perdere il controllo
Il cattivo Vivendi? Non è mai carino quando in uno stallo alla messicana due banditi ti puntano la pistola ed è per questo che a Vivendi l’offerta di Fiber Optics non piace per niente. Vivendi ha la maggioranza relativa di Telecom Italia, potrà pure bloccare la vendita se non le piace, vero? Vero? No!
Gli appassionati di corporate governance e della saga Telecom ricorderanno il brutto scherzetto che nel 2018 Elliott e CDP fecero a Vivendi rastrellando complessivamente un pacchetto del 14% (9% Elliott e 4,9% CDP), presentando una lista alternativa a quella di Vivendi e sottraendole di fatto il controllo di Telecom. Da allora ci sono stati varie vicissitudini e nel 2021, al rinnovo del CdA, Vivendi, per evitare conflittualità in una battaglia che non aveva tanta voglia di combattere, decise di appoggiare una lista presentata dal CdA uscente (una pratica molto in voga nei mercati anglosassoni dove ci sono molte più “public companies” ). La lista del CdA uscente era abbastanza salomonica con un po’ di consiglieri in quota Vivendi, uno in quota CDP e alcuni indipendenti espressione di Elliott (che nel frattempo però aveva venduto la quota rastrellata nel 2018 ai tempi della battaglia con Vivendi), più ovviamente l’amministratore delegato Gubitosi. La lista del CdA fu ovviamente la più votata in assemblea e 10 consiglieri su 15 furono pescati da lì, mentre gli altri 5 furono pescati dalla lista di minoranza presentata da Assogestioni, come da prassi. Poi Gubitosi fu sostituito da Labriola che portò avanti a testa bassa il progetto di cessione della rete senza ascoltare troppo Vivendi e così si arriva all’agguato in CdA dove l’operazione è stata votata con il parere favorevole di 11 consiglieri su 15.
A questo punto la domanda sorge spontanea: ma un consiglio di amministrazione che non è espressione di nessun azionista (la prima lista all’assemblea del 2021 era la lista del cda) può davvero vendere un asset che rappresenta più della metà del valore di una società stravolgendone modello di business e struttura finanziaria senza consultare gli azionisti? In UK, ad esempio, questa roba non sarebbe stata possibile visto che tutte le transazioni che superano il 25% del valore di una società devono passare in assemblea. Leggi a parte, i consiglieri di amministrazione sono sempre esposti ad azioni di responsabilità ed è normale che per transazioni così importanti, a prescindere da ciò che consentono leggi e statuti, rimettano la decisione in assemblea per evitare future cause e azioni di responsabilità con azionisti insoddisfatti.
Poi c’è il tema delle parti correlate. Lo Stato attraverso CDP ha quasi il 10% della società e la transazione contempla la vendita a una cordata in cui lo Stato parteciperà in un modo o nell’altro sia direttamente tramite il MEF, sia indirettamente tramite F2i. La transazione dovrebbe quindi passare per il comitato parti correlate?
Cari pareri
Il CdA ci è voluto andare con i mutandoni di piombo chiedendo un po’ di pareri legali qua e là (come minimo 2 milioni di euro saranno stati bruciati solo per queste consulenze a protezione del CdA):
I notai Pierluigi e Carlo Marchetti (meglio consultare sia il figlio, sia il padre); Andrea Zoppini (aveva assistito Telecom Italia contro Elliott e ora volta le spalle a Vivendi); Giuseppe Portale (anche lui ai tempi contro Elliott); Claudio Frigeni e Luca Purpara. Per non farci mancare niente il collegio sindacale e il comitato parti correlate hanno chiesto anche due diversi pareri agli avvocati Umberto Tombari e Roberto Sacchi per capire se ci fosse bisogno del comitato parti correlate. In soldoni, visto che l’offerta è presentata da Optics BidCo nel cui azionariato non compare ancora nessuna entità riferita né a CdP né allo Stato, non ricorrerebbe tale circostanza. Il comunicato stampa di Telecom Italia, infatti, si guarda bene dal menzionare l’intervento dello Stato mentre menziona tranquillamente il fatto che dietro Optics BidCo ci sono KKR e il fondo sovrano di Abu Dhabi. D’altra parte, però, tutta la stampa parla del futuro ingresso dello Stato in Optics BidCo. C’è uno stanziamento specifico in finanziaria per il quale è stato chiesto un parere alla Corte dei conti e F2i sta già facendo il fund raising per un fondo infrastrutturale dedicato a questa iniziativa. Insomma, non si può non sapere che lo Stato entrerà a far parte di Optics BidCo. Il governo sovranista deve pur sbandierare una vittoria contro i francesi: non essendo riusciti a riprenderci la Gioconda, almeno ci riprendiamo la rete. Nonostante la forma, penso sia difficile sostenere che Optics BidCo non sia una parte correlata.
Perché dunque il CdA ha seguito il piano del CEO Labriola a testa bassa senza consultare gli azionisti? Sì, ci sono i pareri legali, ma quelli servono solo a difendersi meglio in caso di azione legale e non ti tengono indenne da beghe infinite.
È il mercato bellezza…
Telecom Italia ha un EBITDA di circa 5,5 miliardi (ormai in costante calo da anni). Da questi devi togliere i costi per gli investimenti (capex) di 3-4 miliardi l’anno (dovrebbero essere di più, ma stanno con il freno a mano tirato) e i costi del debito che per il momento sono circa il 5% su 26 miliardi, quindi 1,3 miliardi. Se le cose rimanessero così (stesso EBITDA, stesse capex, stessi oneri finanziari), l’EBITDA generato da Telecom Italia sarebbe tutto mangiato da oneri finanziari e capex non producendo neanche un euro di cassa per distribuire dividendi o riduzione il debito elevato. Insomma, Telecom si trova già in una situazione critica in cui non è in grado né di ridurre l’indebitamento, né di remunerare gli azionisti, né di ridurre il debito.
A questa situazione critica si sta aggiungendo una complicazione: i tassi. In una delle sue ultime emissioni per rifinanziare il debito, Telecom ha dovuto pagare un coupon dell’8%. Significa che man mano che Telecom Italia rifinanzierà il suo debito (che nel frattempo non sarà ridotto visto che il business non genera cassa sufficiente) il costo degli oneri finanziari a tendere sarà di 2 miliardi. A quel punto il cash flow sarà costantemente negativo con il peso degli oneri finanziari che fa crescere il debito. Tutto questo assumendo che l’EBITDA non cali ulteriormente in uno dei settori più competitivi in cui i concorrenti con il coltello tra i denti lottano per market share di un mercato maturissimo.
Labriola deve aver percepito questo pericolo trovando l’unico rimedio in una drastica riduzione dell’indebitamento tramite la cessione della rete. Aspettare ulteriormente e assecondare i capricci di un azionista lontano quale Vivendi avrebbe potuto mettere in pericolo Telecom. Il resto del Consiglio è stato evidentemente d’accordo e ha anteposto gli interessi specifici di Telecom a quelli degli azionisti.
Non se n’è parlato abbastanza, ma la trovo una grande vittoria per la corporate governance in Italia e un raro atto di coraggio da parte del Consiglio di amministrazione di una società quotata in Italia. Poi le malelingue ci vedranno invece l’interesse di Stato che prevale su quello di un azionista di maggioranza (Vivendi), ma ci sono elementi oggettivi che mettono in luce un comportamento razionale e responsabile del consiglio.
Che ne sarà di Telecom?
Telecom rimarrà una telco leader in Italia e Brasile con una leva contenuta di 2x. Potrebbe imbarcarsi in vari processi di M&A e consolidamento facendo acquisizioni e assumendo nuovo debito, ma con i livelli attuali dei tassi di interesse e senza un azionista forte dietro, difficilmente potrebbe farlo in maniera convincente.
Ci sono da sistemare le quote di Vivendi e CDP. La prima entrerà in una sorta di contenzioso con l’attuale management e cercherà di mettere i bastoni fra le ruote al closing della vendita della rete a Optics con cause di ogni tipo per poi negoziare una sorta di buona uscita non si sa con chi. CDP era entrata in maniera strategica in Telecom per presidiare il processo di vendita della rete. Ci ha perso un sacco di soldi e ora che ha ottenuto quello che voleva non ha nessun interesse a detenere il 10% di un telco. Insomma, fra Vivendi e CDP c’è sul mercato il 33% di Telecom…
Con l’approvazione del bilancio ad aprile 2024 scadrà l’attuale Consiglio di amministrazione. Penso che per allora difficilmente si potrà riproporre una lista del CdA uscente. Gli scenari possibili sono:
1) Vivendi vende la sua quota con un premio di controllo a un altro soggetto, che diventerà l’ennesimo azionista di controllo di Telecom senza lanciare un’OPA e mettendola in quel posto a tutti gli azionisti di minoranza
2) Iliad, Vodafone, Fastweb o Hutchinson potrebbero ciascuno lanciare un’OPA su Telecom consolidando finalmente il mercato della telefonia italiano e tirando su un po’ i margini (che vuol dire che pagheremo di più i servizi di telefonia). Un deal che sistemerebbe le quote di CDP e Vivendi, ma che necessiterebbe del placet dello Stato italiano, sempre pronto a esercitare il veto con la sua golden share. Iliad: un altro francese? Vodafone: ha venduto in Spagna e recentemente si è parlato di una possibile vendita di Vodafone Italia a Iliad. Forse però la CEO di Vodafone (che è italiana) ha altri piani alla fine per l’Italia. Restano i cinesi…
Ciascuno di quei due scenari passa per una rinuncia da parte di Vivendi ad azioni di disturbo sul closing dell’operazione Optics BidCo. Quindi, a meno che Vivendi non voglia rendere invendibile la propria quota azionaria e mettere a repentaglio la sostenibilità finanziaria della società, direi la minaccia di azioni di disturbo contro il closing di Optics BidCo sia abbastanza vana.
Certo che gli attuali azionisti non saranno contenti con Labriola ripensando a quando KKR offrì 0,55 per azione per prendersi tutta Telecom. Allora Labriola pensò un po’ ingenuamente che, se la strategia KKR era vendere i vari pezzi di Telecom Italia (rete, Brasile e Italia) e guadagnarci qualcosa, allora lui poteva fare la stessa cosa e portare agli azionisti qualcosa in più di quei 0,55. Dopo un anno, Labriola ha comunque venduto il pezzo più pregiato di Telecom Italia a KKR e si ritrova oggi con un’azione che vale il 45% in meno di quei 0,55. E tanti saluti al “Se lo fa KKR, possiamo farlo anche noi”.
Per oggi è tutto, ma torno prestissimo a parlare di un altro CdA molto particolare che ha fatto parecchia notizia: OpenAI. Ci leggiamo nel weekend.
Grazie Daniele, per l'ottima newsletter, come sempre, su un caso intricatissimo come quello di Telecom.
Ma una domanda, se il closing finisce come previsto, secondo te le azioni di Telecom che outlook hanno?
Fantastico come sempre …… mi sei mancato 😀