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Sull'inflazione, la dipendenza dei mercati finanziari dai tassi bassi e lo streaming
E’ venerdì, grazie a Dio.
E lo dico non perché sia l’ultimo giorno lavorativo della settimana, ma perché è bello inviarvi queste letterine tutti i venerdì. Arrivati al quarto numero di questa newsletter, siete diventati 300 subscriber e il 66% apre le mail che invio. Posso dire di aver ridotto molto ciò che scrivo su piattaforme più effimere come Facebook e Twitter (dove magari venivo “scrollato” velocemente), condensando tutti i miei spunti e riflessioni qui. Mi sono anche dato una disciplina nel leggere libri con più regolarità, sempre a discapito dei social network. Insomma, spero che questa diventi una buona abitudine e che sia vero quanto dice Proust (“è più facile rinunciare a un sentimento che perdere un’abitudine”).
Voi continuate a darmi feedback e se vi piace, condividete questa newsletter, ve ne sarei grato.
A quanto è arrivato il prezzo di un caffè questo venerdì? Gli affitti? I servizi? Insomma, quanto costa la vita? Alcuni esercizi commerciali mettono in scontrino esplicitamente un sovrapprezzo Covid (qualunque cosa voglia dire); alcuni bar di Roma hanno alzato il prezzo della tazzina di caffè a 1,10 per recuperare qualche caffè perduto durante il lockdown, ma in generale finora i prezzi sembrano essere stabili e non sembra di essere a Caracas né tantomeno nella Repubblica di Weimar dove l’inflazione galoppante distrugge il potere di acquisto delle persone giorno dopo giorno.
Negli ultimi dieci anni la preoccupazione principale dei banchieri centrali è stata l’esatto contrario dell’inflazione. Il loro compito è stato assicurarsi che il costo della vita non scendesse, che non si andasse in deflazione, e che, anzi, i prezzi salissero un po’. Se avete letto Furore o altri aneddoti sulla Grande Depressione, già sapete perché qualcosa di apparentemente positivo come un calo dei prezzi (evviva, posso comprare più cose con il mio stipendio) in realtà non è affatto una buona cosa per l’economia. Limitiamoci a dire che se calano i prezzi, probabilmente finiranno col calare anche i vostri guadagni. Se calano i prezzi, tenderete a rimandare i consumi in attesa di prezzi più bassi. Se calano i consumi, crescerà la disoccupazione. Se cresce la disoccupazione, caleranno i salari, i consumi, etc, etc.
Per evitare che un calo della domanda legato alla crisi del 2008 portasse a scenari deflattivi, le banche centrali hanno quindi prima azzerato progressivamente i tassi di interesse (portandoli in alcuni casi in territorio negativo - vi pagano per prendere a prestito) e poi hanno creato moneta per acquistare titoli di stato. Dopo la pandemia, non c’è neanche bisogno di dirlo, queste misure sono state ulteriormente incrementate.
Il risultato di questa politica monetaria ultra espansiva, che si protrae da un decennio e che è stata ulteriormente potenziata dopo la pandemia, è un’inflazione che mediamente tra 2015 e il 2021 si è attestata poco sotto l’1% l’anno (l’indice dei prezzi al consumo armonizzato nella zona euro è passato da 100 a 105 tra il 2015 e il 2021). Bene, ma non benissimo: i prezzi non sono calati, ma le banche centrali puntavano a qualcosa che fosse vicino al 2% l’anno.
E se l’inflazione salisse tutta insieme? Se la domanda di beni di consumo salisse più velocemente dell’offerta provocando un’impennata dei prezzi? L’inflazione incontrollata è qualcosa di non meno indesiderabile della deflazione (chiedete in Sud America) e se dovesse effettivamente materializzarsi, le banche centrali dovranno premere sul freno non acquistando più bond e - in ultima istanza - alzando i tassi di interesse, ponendo fine a quel sogno bellissimo in cui i governi possono finanziare all’infinito tagli di tasse e spesa pubblica in deficit grazie a tassi negativi. E non è neanche detto che dopo aver immesso nel sistema tutta questa liquidità riescano a frenare in modo ordinato.
Abbiamo un pianeta intero che si sta risvegliando improvvisamente dall’incubo pandemia. La gente ha i conti correnti ingrossati da risparmio forzato per i lockdown e sussidi vari. Tutti noi non aspettiamo altro che spendere quel gruzzoletto e compensare mesi di consumi repressi non appena si tornerà alla normalità.
Se la domanda la puoi stimolare con tassi di interesse a zero e politiche fiscali espansive, l’offerta, invece, resta quella: c’è poco da fare. In alcuni casi, anzi, l’offerta si è ridotta durante la pandemia perché le aziende non hanno fatto investimenti e hanno ridotto la capacità produttiva. Insomma, l’offerta rischia di non tenere il passo con un’impennata attesa della domanda.
Il prezzo per trasportare un container dall’Asia alll’Europa ad esempio è cresciuto del 500% nell’ultimo trimestre (e non è mai stato così alto negli ultimi 15 anni). Le case automobilistiche non riescono ad approvvigionarsi di semiconduttori necessari per le autovetture. I prezzi di materie prime come la plastica o il rame hanno raggiunto livelli record. In alcuni casi è del tutto impossibile approvvigionarsi di granuli di plastica per fare buste e imballaggi vari . Le Playstation 5 ancora non si trovano :-)
Queste tensioni sul mercato dell’offerta non si sono ancora tradotte in aumenti dei prezzi finali al consumo, ma a un certo punto sarà inevitabile. O si comprimono i margini delle azienda o il potere d’acquisto dei consumatori.
I mercati si sono già messi paura questa settimana e non si è parlato altro che d’inflazione e di tassi di interesse. E se non dovesse essere così? Se i prezzi dovessero continuare a salire? Le banche centrali si ritroverebbero di fronte a questo dilemma: tollerare l’inflazione (rischiando che diventi incontrollata, anche se questo rischio sembra remoto) oppure tollerare l’instabilità finanziaria di un mercato azionario che cala all’aumentare dei tassi.
Di fronte alle prime avvisaglie di inflazione i mercati hanno reagito vendendo in massa titoli di stato i cui rendimenti sono di conseguenza saliti (il rendimento di un titolo di stato è inversamente proporzionale al suo prezzo). Le banche centrali hanno rassicurato i mercati sulla natura duratura degli stimoli. Insomma abbiamo un'idea di come risolverebbero il dilemma tra inflazione e deprezzamento delle attività finanziarie. Meglio l'inflazione, almeno finché non sarà più socialmente sostenibile arricchire chi possiede asset (case, azioni, etc.) per far crescere i prezzi…
Per darvi un’idea di quanto i mercati siano diventati dipendenti dai tassi di interesse bassi, qui sotto ho rappresentato con una linea blu i tassi sui titoli di stato decennali statunitensi (valori sull’asse a destra) e con una linea gialla l’andamento dell’indice azionario s&p 500 (valori sull’asse a sinistra). Quella piccola gamba azzurra che sta risalendo è lontanissima da un livello medio di tassi pre pandemia (diciamo 2,5%, già molto basso), eppure tanto è bastato perché questa settimana non si parlasse d’altro che di inflazione, tassi in risalita e perché si scomodassero i governatori delle banche centrali per rassicurare il mercato.
Cosa succederà alla linea gialla se la linea blu dovesse arrivare a 3,0%? E cosa succederà al costo della vita se la linea blu dovesse rimanere ancora per decenni intorno a 1,0%? Vedremo…
(Avevo preparato questo grafico ieri mattina. Oggi i rendimenti dei titoli di stato - la linea blu - sono già arrivati all’1,55%. Evidentemente i mercati non credono molto alle banche centrali e continuano a vendere titoli di stato)
A proposito di inflazione. E’ sempre istruttivo andare a vedere la composizione del paniere che costituisce l’indice dei prezzi con cui essa viene calcolata. Ogni anno cambia in base alle intenzioni d’acquisto dei consumatori. Normalmente bevande alcoliche, tabacco e narcotici hanno sempre avuto un peso del 3,9 - 4,0%, ma nel 2021 avranno un peso decisamente superiore e mai registrato in passato (4,5%).
Per fortuna in temi di pandemia, oltre all’alcol, le sigaretti e i narcotici abbiamo avuto anche Netflix…
Stream War
Vi ricordate quanto costava una abbonamento standard di Netflix negli Stati Uniti 10 anni fa? $7,99. Oggi costa il 75% in più. Il costo di un abbonamento mensile a Netflix è cresciuto con un tasso del 5,7% l’anno (sicuramente più dell’inflazione) senza che ciò abbiamo avuto grandi effetti sui tasssi di crescita di quello che è ormai diventato quasi un prodotto eponimo per lo streaming.
Il segreto? Lo sanno tutti: i contenuti originali. Ma non solo.
Il principale segreto di Netflix è nelle produzioni locali e nellla capacità di creare arbitraggi tra produzioni locali (che costano poco) e pubblico globale. Un episodio della prima stagione della Casa di Carta (visto da milioni di “Netflixers” in tutto il mondo) è costato in media 500.000 euro. Un episodio di Games of Thrones ha un budget di 15 milioni di dollari. Uno di Friends 10 milioni. HBO punta sulla qualità assoluta, spende tanto e raggiunge un vasto pubblico. Netflix scova delle nicchie grazie all’analisi maniacale dei dati e riesce a produrre così tanti contenuti nuovi da soddisfare chiunque, tanto che non mi passerebbe mai per la testa di disdire la mia subscription perché aumenta di un euro al mese.
Un prodotto HBO è qualcosa che in genere non ti puoi perdere, deve essere perfetto. Un prodotto Netflix è mediamente mediocre, è dimenticabile, ma ne vengono sfornate così tante versioni che alla fine ti darebbe fastidio non avervi un accesso semplice. Sì, mi prendo la briga di scaricarmi Games of Thrones via torrent, cosa che non farei mai per Suburra. Però Suburra è lì, insieme a Baby, insieme a Kobra Kai e altre robe discutibili a cui mi darebbe molto fastidio psicologicamente rinunciare risparmiando 10 euro al mese.
Un altro segreto di Netflix? I tassi di interesse bassi e i mercati liquidi. Netflix si è potuta finanziare a tassi bassissimi emettendo una grande quantità di bond sul mercato “high yield”. Fino al 2019 Netflix non ha mai prodotto un flusso di cassa positivo e bruciava mediamente 2 miliardi di dollari l’anno spendendo arrivando a spendere qualcosa come 15 miliardi di dollari l’anno in contenuti originali! E infatti ha raggiunto nel 2020 un indebitamento netto di 18 miliardi di dollari. Chi mai avrebbe prestato 18 miliardi di dollari a una società che ne brucia 2 ogni anno?
Eppure la strategia di Netflix ha finanziariamente pagato. Nel 2020 ha prodotto flussi di cassa per 2 miliardi su un EBITDA di 15 miliardi. E nonostante il proliferare di questa e quella piattaforma in streaming, Netflix sembra ora poter godere di una sorta di rendita di posizione.
Nel 2015 Walt Disney valeva 10 volte Netflix. Nel 2020 Netflix valeva più di tutta Disney che nel frattempo si era comprata anche tutta Fox per quasi 70 miliardi di dollari.
Proprio Disney, ha deciso di correre ai ripari…
Nel dicembre scorso Disney ha tenuto un investor day in cui ha comunicato che sostanzialmente copierà Netflix puntando molto sullo streaming e producendo molti contenuti propri, anche all’estero (come Netflix, ma spendendo molto meno, un po’ perché non se lo può permettere, un po’ perché ha un catalogo già molto completo che intende valorizzare). Dopo aver raggiunto in poco tempo 90 milioni di abbonati grazie alla concomitanza del lancio del servizio con il lockdown (che fai vedere ai bambini che non vanno a scuola?) e a prezzi promozionali molto bassi (5 euro al mese), gli investitori sembrano credere in questa strategia.
Il valore di Walt Disney è sui massimi storici (quasi 300 miliardi di capitalizzazione), nonostante nel 2020 abbia realizzato un EBITDA dimezzato rispetto al passato a causa della chiusura dei cinema (Walt Disney trae dai box office ancora una parte rilevante dei suoi ricavi e la transizione verso lo streaming non sarà immediata) e dei parchi a tema. Le stime degli analisti su Dinsey contemplano un ritorno a un EBITDA pre COVID tra tre anni, ma il titolo vale molto di più di quanto valesse pre pandemia. Potenza dello streaming…
In termini relativi oggi Walt Disney gode di un multiplo EV/EBITDA forward (quanto una società viene valutata rispetto ai suoi utili futuri) che non è mai stato così alto (oltre 40x). Neanche Netflix quando era nel pieno della sua crescita galoppante ha mai raggiunto questi multipli.
Mediaset, che non ha mai pensato di cambiare un modello di business vecchio, rimane inchiodata a un multiplo sull’EBITDA di 5x da ormai 10 anni, come fosse una utility in declino (e siccome l’EBITDA cala e il multiplo rimane quello, potete immaginare il prezzo delle azioni Mediaset dove sia andato a finire).
E quella linea verde che ha superato Netflix in termini di valutazioni relative (multiplo) chi è? Si tratta di Nordic Etertainment Group (NENT). Un gruppo media svedese attivo in tutta la regione dei nordics (Norvegia, Svezia, Finlandia, Danimarca).
Si tratta di un gruppo media da sempre attivo con canali televisi, paytv e radio che nel 2018 ha deciso di puntare tutto su una piattaforma in streaming chiamata Viaplay che oggi vanta 3 milioni di abbonati in un bacino d’utenza di 15 milioni di abitanti. Offre un buon mix di contenuti premium (tra cui la premier league), produzioni locali e produzioni originali tanto da riuscire ad ottenere un ARPU molto superiore a Netflix, posizionandosi come numero due in Svezia e Norvegia dietro la stessa Netflix. Negli altri paesi europei non ci sono operatori locali che vantano posizioni di rilievo nello streaming (vale anche per i maldestri tentativi nostrani). Mediamente gli operatori statunitensi (Netflix, Disney, Amazon, Apple) hanno una quota complessiva dell’80% in Europa.
Il CEO di NENT descrive così la scelta di puntare tutto sullo streaming:
If you have 99.9 per cent of your revenues coming from advertising, it takes a lot of guts to move to a low-priced subscription video-on-demand service. You will have to go through a lot of pain. It is not for everybody.
Oggi NENT vale circa 3 miliardi di euro. Come Mediaset che è tra i primi gruppi media in un bacino di utenza di quasi 100 milioni di abitanti (Italia e Spagna)
Non è un caso che NENT abbia sede in Svezia che è un po’ la patria dello streaming grazie a Spotify. Questa settimana Spotify ha annunciato una serie di novità interessanti che vi consiglio di approfondire per capire che ruolo avrà la musica come forma di intrattenimento e business nei prossimi anni (c’è anche un podcast con Bruce Springsteen e Obama che parliano di America…)
Cosa sto leggendo
Dark Towers: Deutsche Bank, Donald Trump, and an Epic Trail of Destruction David Enrich
Un libro in cui un grande giornalista di inchiesta racconta la storia di Deutsche Bank, dalla fondazione da parte della famiglia Siemens verso le fine dell’800, fino alle peripezie nei derivati negli ultimi anni. Devo ancora finirlo, ma finora le parti più interessanti sono gli aneddoti attraverso cui capisci quanto sia importante e persistente la cultura di un’organizzazione. Deutsche Bank nasce per permettere ai ricchi di industriali tedeschi di commerciare con l’estero e traghettare le loro finanze verso le ferrovie statunitensi, allora in grande crescita. Fu una grande storia di speculazione e perdite che nonostante tutto si ripeterà ciclicamente per Deutsche Bank con investimenti e pratiche sconsiderate alla ricerca del sogno americano. Nel dopoguerra DB fu spezzettata in tante piccole banche perché ritenuta colpevole delle peggiori nefandezze durante il nazismo, ma nonostante tutto il brand venne a ricrearsi con gli stessi sogni di dominazione, ubris, pratiche illegali e perdite clamorose. Dal libro si comprendono poi i legami di DB con Trump, che l’ha usata per anni come banca di riferimento. Uno si sarebbe aspettato chissà quali loschi affati, invece probabilmente gli affari con Trump sono stati gli unci ad essere stati ispirati esclusamente dalla stupidità (e non disonestà).
Cosa sto vedendo
Non molto. Ma avrei voluto vedere la terza stagione di Occupied (che, visto cheho parlato di streaming e “nordics” cade a fagiolo).
E’ una serie in tre stagioni ambientata in una norvegia di un futuro prossimo in cui:
- Gli Stati Uniti si ritirano dalla Nato dopo aver raggiunto l'indipendenza energetica
- La Norvegia viene occupata dalla Russia con la connivenza della UE, sempre più bisognosa di gas e petrolio
- La Francia chiede una riduzione del debito alla UE e si rivolge alla Russia per ricevere aiuti finanziari
Il tutto è sinistramente verosimile. La trovate su Netflix.
non mi ricordo come ti ho trovato ma hai reso il venerdì molto interessante, complimenti !!!