🗽🦁Generali libere!
E’ venerdì e come ogni venerdì eccoci al consueto appuntamento con Segui i Mangoddi. No, sto scherzando.
E’ passato quasi un mese dall’ultimo numero di Segui i Mangoddi. Mi piacerebbe raccontarvi di come questa sia diventata una newsletter mensile, ma in realtà scarsa pianificazione, mancanza di tempo, la mia spiccata propensione a preferire l’approfondimento alla sintesi, insieme alla mia scarsa capacità di amalgamare quei due ingredienti, hanno reso e stanno rendendo gli aggiornamenti settimanali sempre più irregolari e tardivi. Però, datemene atto, non demordo e venerdì prossimo cercherò di uscire puntuale alle 8:00 nelle vostre Inbox.
Il mio coach da polso non è molto contento
Siete rimasti tutti un po’ delusi dalla superficialità e la condiscendenza con cui nell’ultimo numero ho scansato l’idea di parlare di Evergrande. E però Evergrande non è ancora fallita e - a parte un black out di 9 ore dei social network gestiti da Facebook - il mondo gira ancora.
E allora ricominciamo proprio da Evergrande ora che tutti i giornali hanno smesso di parlarne.
Questo è Segui i Mangoddi, una newsletter bassa sull’alta finanza. Se non la stai leggendo dalla tua inbox, puoi considerare la possibilità di diventare un subscriber (è gratis, eh!) per riceverla direttamente con la consueta irregolarità
For Ever and Grande
Come dicevo, Evergrande non è ancora fallita. Il sistema finanziario cinese è vivo e lotta con noi, per non parlare di quello dei paesi occidentali. Evergrande non è un cataclisma inatteso, ma una carica esplosiva controllata che il governo cinese ha deciso di piazzare sul settore immobiliare cinese prima che implodesse da solo in maniera incontrollata sotto il peso di debiti retti da un modello insostenibile. Fino a sei giorni prima del suo fallimento, Lehman Brothers aveva un rating di A. Evergrande - che non è ancora fallita - ha un rating di singola C (uno step prima del default). I mercati finanziari hanno e hanno avuto molto tempo per prepararsi a un default di Evergrande.
La prima carica esplosiva fatta detonare sul settore immobiliare è stata l’introduzione da parte del governo cinese di una regolamentazione per limitare il ricorso all’indebitamento da parte delle società immobiliari cinesi: le cosiddette “Three Red Lines”. In pratica si tratta di tre parametri patrimoniali superati i quali le società immobiliari non possono più fare ricorso all’indebitamento. I tre parametri sono:
Liability to asset > 100% (esclusi gli anticipi)
Debito/Equity > 100%
Cash / Debito a breve termine <1x
Le società che rispettano tutti i parametri possono incrementare il proprio indebitamento del 15%. Chi ne rispetta solo 2 del 10%. Chi ne rispetta solo 1 del 5%. Chi non ne rispetta nessuno non può più indebitarsi ulteriormente.
Non si tratta di parametri così stringenti, eppure secondo S&P tra le società immobiliari cinesi sottoposte al rating di S&P, solo il 6% rispettava tutti i parametri.
L’obiettivo della normativa delle three red lines è in pratica un deleveraging forzato sul settore immobiliare al fine di controllare un incremento dei prezzi dell’immobiliare troppo rapido e, al tempo stesso, salvaguardare la solidità finanziaria di società immobiliari che ormai sono diventate di importanza sistemica.
Da notare che questa normativa era stata annunciata nell’agosto del 2020 e introdotta a gennaio 2021. Insomma, niente di inatteso. Tutto previdibile. O forse no.
Solitamente i processi di deleveraging sono sempre traumatici. Frenare in corsa non è mai facile. Eppure, a gennaio 2021 c’era chi pensava che l’introduzione delle three red lines non solo sarebbe stata indolore, ma persino propizia per il settore immobiliare cinese, come UBS (ancora non hanno tolto quel report dal loro sito!):
We believe the new policy is a positive market development for bond investors in the long term.
From a valuation perspective, we believe current levels are highly attractive in the real estate space.
With structural improvements in the pipeline as the three red lines have an impact, we believe now is an excellent opportunity for bond investors to benefit from the reratings that we detailed above.
Generally, we estimate that developers rated in the B category have the greatest potential for a ratings upgrade to BB, followed by names rated BB to upgrade to investment grade (IG) status
In pratica UBS vedeva le migliori opportunità di investimento nei bind di operatori immobiliari con rating “B” (singola B). Proprio come Evergrande. Bravi.
Ci sarà sicuramente un temporaneo rilassamento di alcune regole per consentire al settore immobiliare di assorbire l’esplosione di Evergrande, ma i problemi strutturali del settore immobiliare che sono alla base della policy sulle Three Red Lines restano ed è altamente improbabile un cambio di direzione.
Si cercherà di dare un colpo al cerchio alla botte evitando che i consumatori vadano falliti perdendo depositi versati a Evergrande o, peggio, prodotti di wealth management, ma al tempo stesso il settore immobiliare non potrà crescere ulteriormente e il deleveraging continuerà lasciando altri feriti (come Fantasia, ad esempio).
Per un po’ si smetterà di costruire e questo paradossalmente potrebbe far salire ulteriormente i prezzi dell’immobiliare cinese. Imprese pubbliche o società più grandi si faranno carico degli asset e dei cantieri Evergrande, facendo in modo che questi non finiscano sul mercato in maniera disordinata deprimendo i prezzi degli immobili e la ricchezza dei cinesi. Questo non vuol dire che le società verranno salvate: ci saranno punizioni esemplari, gogne mediatiche e purghe per evitare il moral hazard ad ogni modo. In fondo la Cina è un paese in cui i panni si lavano in casa, letteralmente: c’è poco debito verso l’estero; asset e liabilities sono su un unico grande bilancio ed è lì che si sistemerà tutto.
Quindi tutto a posto? No. Il mercato high yield cinese ha perso il 30% nell’ultimo mese e il funding sul mercato obbligazionario cinese high yield si è totalmente fermato mettendo in serie difficoltà non solo le società immobiliari. Il contagio insomma sta già avvenendo in qualche modo anche se tramite iniezioni di liquidità sul sistema bancario il governo ci sta mettendo una pezza. Il rischio di un altro incidente però è dietro l’angolo.
La regolamentazione delle three red lines era intesa per rallentare il settore immobiliare e il default di un colosso da 300 miliardi dollari non era certo tra gli obiettivi dei policy maker cinesi.
Il contagio di Evergrande si comincia sentire anche in Italia intanto con Fabio Cannavaro che ha rescisso il contratto con Evergrande Guangzhou FC.
Generali libere
La storia della finanza italiana è costellata di morti e feriti nel tentativo di prendere il controllo delle Generali.
Non ero ancora laureato, quando nel 2003 assistevo alla defenestrazione di Maranghi da Mediobanca, reo (o presunto reo) di aver propiziato attraverso Mediobanca un’incursione francese per prendere il controllo di Generali. Allora, Unicredit, Capitalia, Mps e Sanpaolo Imi cominciarono ad accumulare pacchetti di azioni Generali che insieme formavano il 20% del capitale, superando di fatto il 10% raccogliticcio di Mediobanca. Tanto fu aspra la battaglia che Generali cerco di acquistare il 2% di Unicredit al fine di sterilizzarne i voti di Unicredit (la norma sulle partecipazioni incrociate di società quotate prevede che siano sterilizzati i voti in società con partecipazioni incrociate), ma Consob stabilì che Unicredit aveva acquistato azioni Generali prima che Generali acquistasse azioni Unicredit, sterilizzando i voti della prima nella seconda. Alla fine Maranghi fu abbandonato anche dai soci francesi di Mediobanca e rassegnò le dimissioni ponendo di fatto fine all’ultimo sprazzo dell’era Cuccia, che era passato a miglior vita qualche anno prima. Nel defenestrarlo, fu fondamentale sottrargli il controllo di Generali, le cui azioni acquistate da parte della cordata italiana furono poi rivendute sul mercato una volta uscito di scena Maranghi consentendo a Mediobanca di riacquisire il controllo di Generali.
Fu poi il turno di Intesa Sanpaolo che quattro anni fa studiò un’offerta pubblica di scambio su Generali che avrebbe dato vita a un colosso nel mondo del risparmio gestito.
Niente da fare neanche per Intesa Sanpaolo. I piani di Intesa Sanpaolo furono bruciati da una fuga di notizie che costrinse la banca ad uscire allo scoperto dichiarando di avere allo studio un’aggregazione con Generali. A quel punto Generali - che ormai di partecipazioni incrociate se ne intendeva parecchio essendo arrivata tardi nel 2003 nel bloccare le mosse di Unicredit e Sanpaolo Imi - comprò il 3% di Intesa Sanpaolo frustrandone qualsiasi ambizione. Qualche mese dopo Intesa si mise l’anima in pace e dichiarò archiviato il progetto su Generali.
E oggi? Nel 2022 si gli azionisti voteranno per il rinnovo del consiglio di amministrazione di Generali (insieme al Cda) e il duo di imprenditori Del Vecchio-Caltagirone hanno deciso di capire se nel 2022 le azioni si peseranno o si conteranno.
Del Vecchio e Caltagirone hanno accumulato insieme il 13,1% di Generali con l’intenzione di opporsi alla lista per il rinnovo del CdA che verrà presentata dal CdA uscente di Generali guidato da Philippe Donnet e propiziata da Mediobanca. Del Vecchio e Caltagirone potrebbero contare anche sulle quote dei Benetton e di fondazione Crt raggiungendo il 17%. Mediobanca intanto dal 12,5% si è recentemente portata al 17% prendendo in prestito un 4,5% del capitale di Generali.
Mediobanca ha dichiarato questo per giustificare un prestito titoli che le costa 20 milioni l’anno:
è stata fatto a tutela dell’investimento in Generali, tenuto conto del contributo significativo che apporta ai risultati della banca e per evitare una destabilizzazione strategica ed operativa che annacqui i risultati
La partecipazione di Mediobanca in Generali vale circa 3,4 miliardi, poco più di un terzo dell’intera capitalizzazione di Mediobanca e contribuisce per il 25% agli utili di Mediobanca (circa 200 milioni di dividendi percepiti su utile netto di 800 milioni). L’investimento in Generali rende circa il 6% a livello di dividend yield a fronte di un RoTe di Mediobanca del 9%. Insomma, Generali è un bel pezzo di Mediobanca ma per una banca d'affari ci sono evidentemente impieghi migliori (soprattutto considerando l'assorbimento di capitale legato a quella partecipazione).
Ma perché una banca d’affari dovrebbe avere una partecipazione di minoranza che non consolida in un’assicurazione e perché lottare tanto per controllarla? La risposta è negli oltre 600 miliardi di euro fra riserve e asset under management che Generali gestisce. Una cifra mostruosa che non ha pari in Italia.
Senza il controllo su Generali, Mediobanca sarebbe una banca d’affari di second’ordine sullo scacchiere europeo che, dopo l’era Cuccia, non ha neanche più tanta presa nei salotti italiani. Sta cercando di crescere a fatica nel consumer banking e nel wealth management con CheBanca!, ma lo fa in concorrenza diretta con Banca Generali (controllata di Generali) e Mediolanum (azionista di Mediobanca), per cui con pochi spazi di manovra e crescita. Proprio due anni fa Mediobanca provò a lanciare un’OPA su Banca Generali brigando con il management Generali, ma poi arrivò il COVID e non se fece nulla. La cosa non fu molto gradita a Del Vecchio / Caltagirone e altri azionisti di Generali.
Insomma qualsiasi AD di Mediobanca preferirebbe essere playmaker di Generali anziché limitarsi alle attività di Mediobanca, che pure sono redditizia, ma meno prestigiose.
Ma perché due imprenditori come Del Vecchio e Caltagirone dovrebbero mettersi contro Donnet in Generali? In fondo sono imprenditori, non fondi attivisti. Ho il sospetto che come nel 2003 Unicredit e Sanpaolo puntarono alle Generali per defenestrare Maranghi da Mediobanca, oggi sia in atto un assalto alle Generali per defenestrare l’attuale management da Mediobanca o, almeno, cercare di renderlo meno autoreferenziale e indipendente. D’altronde la BCE ha autorizzato Del Vecchio a salire fino al 20% di Mediobanca solo a condizione che non eserciti un’influenza sulla gestione. Oggi Del Vecchio è vicino a quella soglia ed è il maggior azionista di Mediobanca ma si è impegnato a non presentare liste per il consiglio di amministrazione di Mediobanca. L’investimento in Generali è una pistola puntata sul management di Mediobanca attuale e futuro: non esprimo il management, ma il manager non deve ritenersi al di sopra degli azionisti.
Per uno che ha investito tanti mangoddi in Generali e Mediobanca si può estrarre sicuramente tanto valore facendo crescere Generali (vendendola?) e focalizzando Mediobanca sul suo core business. Per uno come Nagel mollare Generali non è invece desiderabile.
Noi seguiamo in Mangoddi come al solito.
Fin dalla sua fondazione da parte dell’ebreo di Gorizia Giuseppe Lazzaro Morpurgo, Generali ebbe un azionariato molto diffuso, senza gruppi di controllo, che consenti la raccolta di grandi quantità di capitali e una patrimonializzazione che era dieci volte superiore rispetto alla media delle altre compagnie assicurative dell'impero austro-ungarico. Questo consentì a Generali di operare su tutti i rami assicurativi (di qui il nome Generali) con un modello imprenditoriale allora innovativo. Negli ultimi 50 anni Generali è stata invece controllata da Mediobanca con delle maggioranze relative risibili (10%) e patti sotterranei, impedendo qualsiasi operazione straordinaria di crescita per favorire la distribuzione di dividendi.
Che non sia arrivata l’ora per Generali di diventare una vera public company liberandosi di Mediobanca?
Cosa sto leggendo
Siamo soliti pensare ai raider della finanza contrapponendoli alla gente comune. La realtà, però, è che i fondi di private equity spesso e volentieri si sbranano tra di loro. In The Caesars Palace Coup viene raccontata la storia di uno dei leveraged buyout più catastrofici e discussi della storia: il Caesar Palace. Un’acquisizione finanziata con una quantità enorme di debito, ad una valutazione altissima, nel peggiore dei momenti: prima della crisi dei mutui subprime. E’ una storia interessante perché espone tutte le tecniche con cui i fondi in un leveraged buyout contengono le loro perdite, a volte trasformandole in guadagni, a danno dei creditori che li hanno finanziati (altri fondi in genere). Il libro contiene il giusto mix fra retroscena curiosi (quasi grotteschi) e dettagli tecnico-legali su leveraged finance. Alla fine, si sa, finisce male per Apollo e TPG che vengono inchiodati da alcuni fondi che avevano comprato il debito di Caesar e sono andati a fondo con i loro avvocati. Tuttavia è sempre istruttivo vedere tutta l’architettura finanziaria e legale con cui Apollo e TPG sono riusciti a sottrarre asset ai creditori mediante transazioni avvenute alla luce del sole e nell’ambito di procedure formali ineccepibili. Dopo aver letto The Caesars Palace Coup quando sentirete parlare di valutazioni e consiglieri indipendenti, avrete voglia di chiamare Consob e Guardia di Finanza e vi guarderete bene dall'investire denaro per finanziare acquisizioni di leveraged buyout.
Anche per questa settimana è tutto. Non ho tempo rileggere e perdonatemi per i mille typos.
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