Qui al Toni di Fregene, in queste prime due settimane agostane, si respira un’aria che non è tanto vacanziera quanto svagata, una specie di sospensione etilica in cui i problemi del sistema-paese e gli stravolgimenti del nuovo ordine mondiale vengono lasciati a macerare come roba d’altro tempo da far assaporare agli storici del futuro. Gli abbonati, con la pazienza svogliata dei villeggianti d’annata, riordinano e subito disfano le cabine turchesi ormai sbiadite, che da pertinenze di seconde case sono diventate quasi appendici immobiliari di quella che un tempo era la villeggiatura. Davanti al mare del litorale romano – un minestrone verde e denso ribollito al sole – le prime e le seconde file sono già occupate, ma il resto degli ombrelloni torreggiano chiusi e severi su una classe media che non sa più se sentirsi privilegiata per essere qui o invidiosa mentre scorre in rassegna sotto il pollice spiagge più esotiche e mete più significative, tra un post e l’altro di Instagram.
Sullo sfondo di queste cabine non meno lise che turchesi, e di un cielo più ceruleo che azzurro (anche il cielo assume tinte poco convinte), gli aerei che atterrano a Fiumicino scandiscono i quarti d'ora e ricordano ai concessionari di Fregene che a fare da contraltare alla loro stagione fiacca ci sono il traffico aeroportuale a livelli record e l’overtourism di Roma.
Già, non proprio una grande stagione estiva per i balneari. Non sono sicuro che la colpa sia dei prezzi esosi. Semplicemente, domanda e offerta non sono più in rotta di collisione: prezzi troppo alti da una parte; costi troppo alti dall’altra. Uscendo un po’ dalla bolla del Toni, le cose non vanno tanto meglio.
Se allarghiamo lo zoom per comprendere anche l’altra sponda dell’Atlantico, si può osservare che anche gli americani hanno cominciato a risparmiare sui pasti fuori casa determinando un calo consistente dei ricavi di tutte le principali catene di ristorazione. Il calo è molto evidente soprattutto nelle catene di fast food frequentate da consumatori più fragili e più colpiti dal rallentamento del ciclo economico. Il CEO di McDonald’s descrive così il contesto di mercato:
“The result of that is you’re seeing people either skip occasions, so they’re skipping breakfast or they’re trading down either within our menu or they’re trading down to eating at home.
Tornando sotto l'ombrellone, c'è chi si diletta con la Settimana Enigmistica e chi con la Settimana Enigmistica fa dilettare il nuovo ChatGPT 5. Atteso come il parente stretto di Skynet o l'araldo della distruzione del genere umano, ChatGPT 5 per ora sta deludendo le aspettative altissime che Sam Altman aveva alimentato. Alcune caratteristiche del nuovo modello sono francamente impressionanti, soprattutto la sua capacità di organizzare il lavoro autonomamente anziché eseguire pedissequamente quello che gli si chiede. Tuttavia, i miglioramenti sembrano essere al massimo incrementali: niente che lasci gridare all’arrivo di una nuova era. Se penso al tempo, l’energia elettrica e i costi delle migliaia di GPU utilizzate per allenare questo nuovo modello, non sono sicuro che i capex di OpenAI su questo nuovo modello avranno un ritorno adeguato.
A un certo punto dovremo chiederci quanto tutto questo giustifichi l'ammontare di risorse finanziarie che è stato risucchiato e sarà risucchiato ogni anno dagli investimenti per le infrastrutture AI che si stanno costruendo: 62 miliardi di dollari di investimenti per Amazon, 84 miliardi per Microsoft, 60 per Meta, 64 per Alphabet. Solo questi quattro “hyperscaler”, solo nel 2025, investiranno 270 miliardi di dollari. E nel 2026 saranno 306 miliardi nel 2026. Gli investimenti in AI hanno avuto un impatto enorme sul PIL americano. Oltre il 2%.
Saranno giustificati da un tangibile ritorno sull'investimento o incrementi di produttività? Nonostante i tassi di interesse ancora a livelli elevati, si tratta di uno stimolo pazzesco per l’economia, anche se molto concentrato su pochi settori.
Ogni azienda, ogni mese sforna nuovi modelli. Tutti sono alla ricerca del sacro graal dell’AGI, trilioni di dollari per cercare di estorcere un po' di meraviglia dal nostro disincanto, e produttività da colletti bianchi stanchi, ma al momento l'ammontare di capex e di energia consumato appare davvero sproporzionato rispetto ai benefici concreti che ne stiamo traendo. E se pensate che sia comodo farvi scrivere o riassumere le mail da Copilot, forse dovreste dare un'occhiata ai costi e ai consumi che le aziende sostengono. Per ora è tutto in un certo qual modo sussidiato, ma poi arriverà il conto. Mi fa sorridere chi nelle loro mail ti invita a rispettare l'ambiente evitando di stampare il suo messaggio e poi magari ha fatto lavorare un data center per farsi correggere la propria mail.
Da qui al 2028 Morgan Stanley prevede che si spenderanno 2,8 trilioni di dollari per i data center (1,6 trilioni per l’hardware, il resto per l’infrastruttura ). Parliamo di 900 miliardi l’anno. Per avere un termine di paragone, tutte le aziende dell’S&P500 avevano investito 950 miliardi di dollari in un anno (in tutto, non solo per l’AI).
Tutto questo fa sorgere anche qualche interrogativo sulla sostenibilità finanziaria.
La maggior parte degli investimenti degli “hyperscaler” è stata finanziata dai loro enormi cashflow finora, ma ora le cifre in gioco sono così elevate che questi non bastano più. Queste società prima accumulavano cassa, distribuivano dividendi e facevano buyback. Adesso quei flussi di cassa sono stati deviati verso programmatori di AI pagati più delle star di calcio, GPU di Nvidia e data center grandi come 10 campi di calcio. Meta ad esempio aveva cassa per 43 miliardi di dollari nel 2023 e finirà il 2025 con 13 miliardi. E infatti proprio Meta ha cominciato a bussare alla porta dei fondi di private credit con un deal da 29 miliardi con Pimco e Blue Owl. È un deal significativo sotto diversi punti di vista: con 29 miliardi di dollari, è il più grande pacchetto finanziario mai realizzato per un data center AI specifico. Meta è un’azienda che non ha mai fatto ricorso all’indebitamento e, quando lo fa, lo fa con un private credit anziché con le banche (è una tendenza di cui avevamo parlato nel #60 di Segui i Mangoddi con il caso di Apollo). Meta, con il suo rating AA, è il "pesce più grande" che i fondi di private credit (o private debt che dir sir voglia) hanno sottratto alle banche. Il deal che Apollo aveva fatto in passato con Intel e Air France sono altri esempi di questo tipo.
E mentre oltreoceano si parla di triliardi, l’estate italiana, si sa, ha un suo modo un po’ provincialotto di declinare l’ossessione per le grandi manovre. Non data center, ma salotti buoni, non modelli LLM, ma patti di sindacato. Qui il potere non si misura con le GPU, ma con le percentuali in assemblea (che si pesano e non si contano).
Chi di certo non si concederà una vacanza rilassante sono gli investment banker del FIG e le loro banche clienti. Forse gli ombrelloni saranno chiusi anche per questo: tutto il Paese è in una sorta di guerra civile finanziaria. Banco BPM ha appena chiuso l’OPA su Anima; UniCredit ha rinunciato all’assalto su Banco BPM ma resta con un 20% in Commerzbank e un piede nella greca Alpha Bank; resta viva l’offerta di MPS su Mediobanca, che nel frattempo ha sfoderato un’OPA su Banca Generali per blindarsi nel private wealth, parare il colpo di Siena e liberarsi del 13% in Generali, quota strategica e scomodissima.
Qui il duello è tra mercato e Stato; tra Roma e Milano. Il primo round lo ha vinto lo Stato: Roma ha fermato Orcel su Banco BPM, Berlino lo ha bloccato su Commerzbank e Madrid ha detto no alla fusione Sabadell-BBVA. Ora il governo italiano punta all’unica merchant bank nazionale e, tramite Generali, al risparmio delle famiglie. Ma Nagel e Orcel potrebbero tessere un’alleanza inattesa: UniCredit conserva un 7% in Generali e, con ogni probabilità, una quota in Mediobanca.
Il momento della verità sarà il 21 agosto, all’assemblea di Mediobanca, chiamata a votare l’OPS su Banca Generali. Un’operazione accrescitiva e strategicamente sensata, ma la chiave è nelle mani di Delfin ( che ha ol 20% di Mediobanca): Milleri dovrà spiegare agli eredi Del Vecchio perché votare in un senso o nell’altro, bilanciando dividendi e diplomazia finanziaria. Si uniranno alla crociata di Caltagirone e del governo contro Nagel, anche a costo di andare contro i propri interessi?
MPS, che ha già abbassato la soglia per l’OPS su Mediobanca al 35%, rischierebbe di vincere e ritrovarsi con un controllo fragile, poche sinergie realizzabili, niente benefici fiscali e zero leva su Generali. Una vittoria inutile, che lascerebbe il marchio Mediobanca sbiadito come le cabine turchesi del Toni o le borse di Versace prodotte da Michael Kors, e l’Italia in fondo alla classifica della credibilità finanziaria. E poi l’investment banking è fatto di persone, più che di marchi. E quanti banker di Piazzetta Cuccia resterebbero in una MPS guidata da Lovaglio?
La pausa sotto l’ombrellone è finita. Visto che è estate dovrei lasciarvi con qualche consiglio cool sugli ultimi saggi alla moda su produttività e biohacking. E invece sto leggendo La montagna incantata di Thomas Mann. Io ho una fissazione per tutto ciò che approfondisce da un punto di vista filosofico le tematiche del tempo. Le digressioni su tempo e spazio del narratore e dei personaggi di questo microcosmo che è il sanatorio di Davos sono pazzesche:
Assuefarsi significa lasciar addormentare o almeno sbiadire il senso del tempo; e se gli anni giovanili sono vissuti lentamente e la vita successiva invece si svolge e corre sempre più veloce, anche questo è da attribuire all’assuefazione. Noi sappiamo benissimo che intercalando assuefazioni nuove e diverse adottiamo l’unico rimedio che serva a trattenere la vita, a rinfrescare il nostro senso del tempo, e così il nostro sentimento del vivere si rinnova
Il sanatorio di Davos è un luogo di lusso per una borghesia benestante, dove i pazienti vivono in una bolla di ozio e accidia, lontani dalla produttività e dal lavoro. I protagonisti mostrano continue tensioni tra decadenza e stagnazione e sono invischiati nella ricerca di senso in un mondo in trasformazione.
Siamo nelle Alpi svizzere, ma in fondo siamo al Toni di Fregene.
Passate buone vacanze.
Un ringraziamento speciale a Daniela Bollini che continua a prestare la sua professionalità all’editing di questa newsletter.
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