#44 Tout va très bien (per ora)
Bentornati e benvenuti ai 53 nuovi subscriber delle ultime due settimane. Sono felice che l’approfondimento su FTX dell’ultimo numero vi sia piaciuto tanto. Nonostante la saga si sia arricchita di risvolti clamorosi quanto coloriti (orge, anfetamine, hacker misteriosi che sottraggono asset all’amministrazione straordinaria), lascio ad altre fonti e alla vostra curiosità questa storia per occuparmi d’altro, ché poi si diventa monotematici, ossessivi, quando non banali. Prima di lasciare del tutto l’argomento, faccio però una considerazione laterale sul tema bitcoin e, più in generale, sui cosiddetti digital asset.
FTX dimostra che bitcoin e criptovalute sono una fregatura? No, come d’altronde il caso Parmalat non dimostra che dietro all’industria della trasformazione e trattamento del latte si celino sempre truffe e nefandezze. Si tratta di casi in cui alcuni singoli, animati da sentimenti poco nobili e tratti oscuri dell’anima, decidono deliberatamente e semplicemente di rubare.
C’è una differenza sostanziale, però, tra il crack di Parmalat (o di Enron) e FTX. Nel primo caso per sottrarre milioni di euro alla società (e ai suoi creditori) devi usare molta creatività finanziaria e far leva sulla connivenza (più o meno attiva) di istituti finanziari disposti a chiudere un occhio o a guardare distrattamente. Nel caso delle criptovalute, invece, quello che sta apparendo evidente è che gli asset digitali possono essere mossi con molta disinvoltura e agilità senza particolari problemi e senza lasciare tracce.
D’altronde oggi una delle principali sfide che attende il nuovo CEO di FTX nominato dall’amministrazione straordinaria (lo stesso che si è occupato di Enron e che ha dichiarato di non aver mai visto nulla di così grave come la situazione in FTX) è il recupero di questi digital asset che sono finiti chissà dove.
Un bitcoin è a tutti gli effetti assimilabile a un foglietto di carta al portatore del valore di 16.000 euro. Potresti custodirlo tu, senza darlo alla FTX del caso, ma correresti diversi rischi:
1) puoi perderti la chiave crittografica che ti consente di disporre di quel bitcoin e in quel caso non ci sarebbe modo di recuperare quei 16.000 dollari (le discariche del pianeta sono piene di chiavette usb che contengono le chiavi crittografiche per milioni di dollari in bitcoin);
2) qualcuno può rubarti la chiave crittografica che avevi diligentemente scritto nel bloc notes del telefonino e sottrarti il tuoi bitcoin da 16.000 euro.
Se non vuoi correre i rischi di cui sopra, puoi mettere i tuoi bitcoin su FTX, Coinbase o altri exchange, come si fa quando prendi 16.000 euro in contanti e li porti in banca, sperando che a) la banca sia abbastanza sicura da non farsi rapinare b) la banca sia gestita da persone oneste che non scappano con i tuoi soldi e che li gestiscono bene.
Nel mondo reale le banche sono fortemente regolate per evitare problemi di quel tipo. Nel mondo delle criptovalute no. E d’altronde se rubare 16.000 euro in contanti da una banca è cosa piuttosto agevole, rubare 10 miliardi di euro in contanti da una banca richiederebbe tutto l’ingegno e la preparazione logistica del Professore de “La Casa De Papel”. Nel mondo delle criptovalute, invece, puoi rubare 10 miliardi di euro in bitcoin con pochi clic senza che nessuna autorità centrale possa recuperare i tuoi soldi, con la stessa facilità con cui potresti rubare 16.000 euro.
Nelle scorse settimane Poste ha subito la classica truffa di phishing in cui qualcuno invia una fattura del tutto simile a quella di un fornitore abituale cambiando l’IBAN di destinazione. Poste ha così inviato 5 milioni di euro su un conto corrente in Lituania credendo di pagare una fattura di Microsoft. Per poterla farla franca, i truffatori hanno creato centinaia di conti internazionali su cui poi hanno smistato la cifra arrivata sul conto lituano, prelevando poi la somma cash con carte di debito da centinaia di sportelli bancomat sparsi per il mondo. Ciò ha richiesto la collaborazione di un centinaio di persone sparse per il mondo, ma era l’unico modo per evitare che Poste Italiane, una volta resasi conto della truffa, potesse recuperare i soldi con la collaborazione delle banche. Se Poste Italiane avesse usato i bitcoin per pagare Microsoft, anziché il normale circuito bancario, i truffatori avrebbero avuto vita molto più facile per incassare il bottino.
L’estrema facilità con cui ci si possono scambiare in maniera irreversibile grossi quantitativi di denaro è ovviamente una feature più che un bug delle criptovalute, che ambiscono a ricreare sul piano digitale e dematerializzato l’esperienza delle transazioni cash. Questo va benissimo per certe categorie di utenti (spacciatori di droga, ricettatori, evasori e altri individui anche più onesti che hanno bisogno di spostare agevolmente denaro in maniera non tracciata), ma rende molto complesso l’utilizzo del bitcoin come asset class di investimento. Voi investireste mai 500.000 euro mettendoli tutti su una super banconota che può essere persa e/o rubata senza alcuna possibilità di recupero? Dareste mai i vostri risparmi a un asset manager che li investe in quel pezzettino di carta?
E l’oro? Beh, provate a rubare 10 miliardi di dollari in lingotti d’oro, non è semplice come rubare 10 miliardi di dollari in bitcoin.
Ecco, credo che FTX abbia messo a nudo questa irrisolvibile incompatibilità tra bitcoin quale asset class di investimento istituzionale e bitcoin quale forma di contanti digitali decentralizzati.
Crisi? Quale crisi?
Si attribuisce a Churchill la citazione: “Mai sprecare una bella crisi”. Difficile capire lo spirito con cui disse quella frase, ma oggi viene reinterpretata dai CEO soprattutto nell’ambito di processi di ristrutturazione del personale.
Un altro contesto in cui non bisogna mai sprecare una crisi è quello della comunicazione finanziaria. Hai ricavi stagnanti e margini in calo? C’è la crisi, signora mia… C’è la guerra in Ucraina, salgono i prezzi delle materie prime, c’è l’inflazione, calano i consumi, le aziende tirano la cinghia e tutto va male. E questo vale anche se il tuo settore in teoria non è toccato direttamente dalla crisi.
Al di là delle narrazioni da menagramo autoindulgenti, la situazione di oggi è davvero così catastrofica? A giudicare dalle trimestrali di questi giorni non si direbbe.
Mastercard, ad esempio, ha pubblicato una trimestrale con ricavi in crescita del 23% rispetto al terzo trimestre del 2021. I consumatori continuano a spendere nonostante l’inflazione. Particolarmente utile è il rapporto U.S. Retail SpendingPulse di Mastercard in cui si analizzano i trend settore per settore sia rispetto al mese di ottobre 2021, sia rispetto ad ottobre 2019 (pre-pandemia). Sembra che rispetto al 2021 gli americani stiano spendendo un po’ meno solo in mobili (comprensibile, visto che con i tassi sui mutui così elevati si comprano meno case) e in lusso. Per il resto i consumi stanno esplodendo. Il confronto con il 2019 è ancora più impressionante, soprattutto per le categorie di eCommerce (quasi raddoppiati i consumi anche post-pandemia) e ristorazione (+43% rispetto a ottobre 2019).
Non vorrei scivolare nel berlusconismo bieco di chi negava che nel 2011 l’Italia fosse in crisi dall’osservatorio smeraldo della Sardegna, ma se ci limitiamo ad analizzare la salute dei consumatori, la spesa per ristoranti è una buona misura. Sarebbe bello se in Italia ci fossero ristoranti quotati per poterne analizzare le trimestrali, ma per il momento dobbiamo accontentarci delle società quotate americane. Il CEO di The Cheesecake Factory (che ha chiuso la trimestrale del 3Q 2022 con ricavi in crescita del 15%) ha detto nell’ultima call di presentazione dei risultati:
We continue to see very strong attachment across the desert, across alcohol between entrees and appetizers. So that would also tell me that when guests are coming in, they're not managing their check or they don't have any sticker shock, because they're actually continuing to order a little bit more than they used to
Focalizzandoci sull’Italia, i dati della trimestrale di Nexi mostrano volumi di spesa sulle carte italiane che a partire da giugno hanno cominciato a rallentare in termini di crescita scendendo dal +26% di aprile al +4% di ottobre. Considerando che nello stesso mese l’inflazione italiana è stata dell’11,8% anno su anno, significa che in termini reali gli italiani hanno cominciato a spendere meno.
E le banche?
Anche le banche sono un buon osservatorio per capire dove sta andando e dove andrà l’economia visto che i loro bilanci sono al tempo stesso cartina tornasole dell’economia e cinghia di trasmissione della politica monetaria. Se qualcosa sta andando male, si vede nei bilanci delle banche e se i bilanci delle banche sono messi male, tutto il tessuto economico subirà seri contraccolpi.
UniCredit ha registrato nel terzo trimestre del 2022 un utile record di 1,7 miliardi di euro, grazie anche al contributo positivo delle attività in Russia. Si tratta della migliore trimestrale degli ultimi 10 anni e un risultato superiore del 70% rispetto alle previsione degli analisti. Le perdite su crediti sono state bassissime (84 milioni) con un costo del rischio che non è mai stato così basso (0,20%, rispetto a un obiettivo di piano di 0,25%)
Il CEO Andrea Orcel ha dichiarato nella call:
We see no evidence of worsening of our cost of risk. We see no evidence of negative impacts on our franchise from spillover effects and other things.
Ne avevamo parlato in estate, le banche stanno guadagnando tantissimo grazie a margini di interesse sempre più elevati (la differenza tra quello che ricavano dagli impieghi e quello che pagando sul funding). Abbastanza esplicativa al riguardo è questa slide dalla presentazione di UniCredit:
In Italia, ad esempio, i tassi pagati ai depositanti sono aumentati di 3 bps. mentre i tassi sugli impieghi sono saliti di 21 bps nel corso degli ultimi tre mesi.
Forse qualcuno ricorderà che prima dell’estate avevo parlato dei grandi benefici di UniCredit (e di altre banche) derivanti dal TLTRO, una speciale linea di credito concessa dalla BCE alle banche europee per stimolare il credito durante la pandemia. Spiegavo che per una sorta di arbitraggio nel meccanismo di calcolo degli interessi da pagare sul TLTRO, le banche europee avrebbero potuto tenere in piedi il TLTRO (anche senza particolari impieghi) e depositarlo poi presso la BCE ottenendo un differenziale positivo nell’ordine dell’1% (UniCredit ha preso in prestito 100 miliardi dalla BCE con il TLTRO, quindi l’1% è qualcosa che ha un impatto molto rilevante sul suo bilancio).
La festa è finita e la BCE ha modificato retroattivamente e unilateralmente le condizioni del TLTRO. Si tratta di una modifica giuridicamente discutibile che crea un brutto precedente, ma finora nessuna banca, per pudore, se l’è sentita di far causa alla BCE. UniCredit a fronte di questa modifica ha registrato un impatto negativo a bilancio di 300 milioni di euro (evidentemente aveva già contabilizzato i profitti derivanti dal TLTRO). Ciononostante, la sua trimestrale è sempre una delle migliori di sempre (figuriamoci senza l’intervento della BCE sul TLTRO).
Altro aspetto particolare della trimestrale di UniCredit è il tema Russia. A differenza di altre banche “allineate” che hanno da subito tagliato ogni legame con la Russia, UniCredit ha mantenuto le sue attività ricavandone notevoli benefici grazie all’apprezzamento del rublo sull’euro. UniCredit negli ultimi mesi ha avuto qualche diverbio con la BCE per i suoi legami con la Russia. Non sorprende quindi che, nonostante il business in Russia continui a portare un contributo importante agli utili, UniCredit non lo metta bene in mostra parlando in call solo di risultati “Excluding Russia” e togliendo quindi 344 milioni di utile netto, il 20% dell’utile di gruppo!
Incalzato nella call con gli analisti sulle dinamiche del mercato russo, Orcel ha detto:
Okay. In relation to Russia, the net interest income dynamic of Russia this quarter was particularly good. As a matter of fact, this is due to the different level of dynamic of the rates that we can get on the deposit side in comparison with the lending side. So as a matter of fact, the rate in Russia are really high and coming back to what I was telling you before, if you are properly managing the liability side containing the pass through to the deposit and properly repricing on the asset side in such an interest rate environment, you can positively improve the net interest income.
Insomma, stare in Russia è un buon affare per il momento a dispetto di quel che si potrebbe pensare.
Diversa è la posizione di Intesa Sanpaolo sulla Russia che nella sua call con gli analisti mette subito le mani avanti definendosi una “zero Russia exposure bank” (eppure ricorderete la foto di Messina che si era fatto ritrarre vicino a Putin per la firma del contratto di finanziamento con cui Intesa Sanpaolo aveva finanziato la cessione di Rosneft al Qatar e a Glenccore):
Let me start by saying that in Q3, we delivered a 65% reduction of our exposure to Russia. It now is just 0.3% of group exposure loans. We can already be considerated a zero Russia exposure bank and we will continue to work to reduce the limited remaining exposure. Whenever we see a problem emerging, we face it immediately and put robust solutions into action.
Anche Intesa Sanpaolo si vanta di aver pubblicato la miglior novestrale dal 2008 e anche per Intesa Sanpaolo, come prevedibile, il motore della crescita si chiama margine d’interesse (specialmente se associato a perdite su crediti che si mantengono basse):
Net interest income will grow by €2 billion, assuming one month EURIBOR reaching an average of 2%. This is the area which I think we will elaborate in question-and-answer but believe me, this is the real engine for growth for the next years and we will have bigger and bigger increase in terms of net interest income in the next years.
Cosa può andare storto?
Da giugno 2023 scadrà lo strumento del TLTRO. È vero che, dopo la recente modifica della BCE, le banche non hanno più un beneficio a conto economico dall’utilizzo del TLTRO, ma a partire da quella data dovranno sostituire il TLTRO o con altre riserve in eccesso o con altri strumenti di funding che costeranno sicuramente molto di più rispetto all’attuale 1,5% che stanno pagando le banche.
Come si può vedere dal grafico sotto, le banche italiane non hanno riserve in eccesso superiori al TLTRO (unico caso in Europa), per cui dovranno rifinanziare circa 100 miliardi con altri mezzi (obbligazioni), che andranno sicuramente a comprimere il margine di interesse.
Altro elemento che potrebbe rovinare la festa è la cosiddetta asset quality. Finora non si sono materializzate perdite su crediti. Tutto ciò che può andare bene è andato bene (tassi di interesse) e tutto ciò che può andare storto (perdite su crediti) non si è materializzato. Attenzione però ad effetti di lag temporale. Si sa che i bilanci delle imprese arrivano con un certo ritardo e alcuni effetti negativi della crisi magari già presenti oggi, le banche cominceranno a vederli solo tra 18-24 mesi.
Sarà per questo che le banche italiane quotano ancora a 0,5x volte il book value nonostante gli ottimi risultati? Intanto mi sembra abbastanza sorprendente come il governo non sia stato tentato di pucciare il biscotto in questo mare di utili proveniente dalle banche italiane (in Spagna l’hanno fatto).
E le altre banche?
Non tutte le banche brillano. Specialmente se si tratta di banche che si sono avventurare in passato in business più rischiosi per compensare i margini di interesse ridotti al minimo da anni di tassi bassi.
Chiedete alla disgraziata Credit Suisse (che da quando ho avviato questa newsletter è stata coinvolta in ogni tipo di scandalo). La settimana scorsa Credit Suisse ha pubblicato un aggiornamento sulle masse in gestione con dati catastrofici. Nell’ultimo trimestre i clienti hanno ritirato da Credit Suisse 64 miliardi di franchi svizzeri, cioè il 10% delle masse in gestione. Per dare un’idea di quanto sia catastrofico questo dato, Credit Suisse ha perso in un trimestre le masse che aveva acquisito negli ultimi quattro anni:
Avete presente il Giappone dei lungometraggi di Miyazaki o di Sampei? Se ne ricava l’immagine di paese di contadini e pescatori. E in effetti se uno si studia la storia economica del paese, nel secondo dopoguerra le campagne hanno alimentato l’economia giapponese supportate da una vasta rete di banche cooperative e rurali. La più grande è Norinchukin, oggi in assoluto una delle banche più grandi del mondo per totale di attivi. Con l’industrializzazione del Giappone, le banche rurali come Norinchukin si sono ritrovate negli anni ‘90 ad avere una grande quantità di depositi e una bassissima domanda di prestiti da parte di aziende rurali. Al mese di settembre 2022, Norinchukin aveva 63 trilioni di yen in depositi e prestiti per 19 trilioni, con un tasso loan/deposit del 31% (quello di UniCerdit è dell’85%). La banca nel corso del tempo ha così impiegato i depositi in eccesso in CLO, diventando il più grosso investitori di questo tipo di strumenti. Si tratta in pratica di veicoli che investono in bond high yield emessi da imprese e private equity per finanziare transazioni di M&A.
Con i tassi in rialzo e la volatilità dei mercati degli ultimi mesi, il prezzo degli strumenti High Yield e dei CLO si è deteriorato molto incidendo in maniera significativa sul capital ratio di Norinchukin che in un trimestre è passato dal 17,9% al 12,6% (un calo enorme). A fine settembre le perdite non realizzate sul portafoglio di bond della banca giapponese sono salite a 2,1 trilioni di yen (dai 334 miliardi del trimestre precedente).
Per ora il capitale della banca giapponese tiene, ma non c’è più spazio per altre svalutazioni e in caso di fallimento di questa banca (o esigenze di ricapitalizzazione) le conseguenze sui nostri mercati sarebbero enormi essendo il principale finanziatore sui mercati HY.
Cosa sto leggendo?
Non sono particolarmente contento di aver speso una settimana a leggere “Ballando nudi nel campo della mente” del premio nobel Kary Mullis. Me ne hanno parlato così tanto, descrivendomelo come un libro illuminante, che alla fine ho ceduto alla curiosità.
Kary Mullis è un personaggio controverso e famoso. Famoso per aver inventato la tecnica del PCR con cui oggi riusciamo ad amplificare il DNA da particelle minuscole così da poter far luce su scene del crimine o rilevare virus sconosciuti. Controverso per l’uso ripetuto di LSD (è grazie all’LSD che avrebbe inventato la tecnico del PCR) e alcune teorie sui generis. Nel suo libro parla di astrologia, rapimenti degli alieni e altri complotti vari. Non si capisce quanto il suo anticonformismo sia genuino e quanto una provocazione di facciata, affettata con lo scopo di sconvolgere la comunità scientifica. Fatto sta che la lettura mi è risultata spiacevole sia per lo stile e l’impianto povero, sia per la continua e fastidiosa voglia di sorprendere e apparire a tutti i costi anticonformista. Ciononostante, penso che a fini documentaristici il libricino di Mullis possa essere una lettura utile per capire cosa passa per la mente di un complottista che proprio stupido non deve essere. Il campo degli anticonformisti si è così riempito di teorie folli che forse oggi ci siamo abituati troppo al comfort di un pensiero acritico che alla lunga potrebbe portare a più danni dei terrappiattisti.