Margin call, integrazione dei margini, margine di variazione.
Se seguite i mangoddi, ve ne sarete accorti: è lì che stanno andando i soldi, risucchiati da un buco nero chiamato derivati.
Energia derivata
Forse vi ricorderete come, a inizio anno, parlai su questa newsletter della preoccupante situazione di Uniper, uno dei principali fornitori di elettricità in Germania, che cominciava ad avere bisogno di linee di credito statali per sostenere le sue posizioni corte su contratti derivati sull’energia. Alla fine, Uniper è stata completamente nazionalizzata.
Lo stesso destino è toccato a EDF, il colosso francese da 46 miliardi di capitalizzazione nazionalizzato dal governo francese per evitarne la bancarotta sotto il peso di pesanti posizioni corte sul mercato dell’elettricità. In agosto Wien Energie, una piccola municipalizzata austriaca, ha comunicato che in un solo giorno ha dovuto far fronte a margini di variazione per 2 miliardi di euro, forniti poi gentilmente dal governo austriaco al comune di Vienna.
Equinor, una società norvegese, ha stimato che in Europa (escludendo il Regno Unito) le società energetiche dovranno far fronte collettivamente a integrazione di margini di garanzie su derivati per 1.500 miliardi di euro (che più o meno è il PIL dell’Italia).
Anche in Italia, intanto, Enel avrebbe chiuso con tre banche per una linea di credito revolving da 12 miliardi garantita al 70% da SACE per far fronte ad esigenze di liquidità legate alle posizioni su derivati (non siamo di manica larga come Austria, Germania e Francia e lasciamo che siano le banche ad occuparsi del problema). Dodici miliardi è una cifra enorme: è quasi il 30% dell’intera capitalizzazione di Enel e se la linea fosse utilizzata completamente porterebbe l’indebitamento di Enel da 3.2x a 4.0x l’EBITDA. Anche se non fosse utilizzata, solo per l’upfront fee da pagare sulla linea (normalmente il 2% complessivo), l’utile 2022 di Enel scenderebbe del 6%.
Ma perché tutta questa attività in derivati sui prezzi dell’energia? Lo spiega bene Kalle Kuokka, responsabile della financial trading unit di Fortum, una delle società più colpite dall’esposizione in derivati (nonché uno degli azionisti principali di Uniper). Le società che generano elettricità vendono in anticipo la loro produzione tramite contratti derivati per fissare ex ante il prezzo e non essere così esposte a variazioni di prezzo durante l’anno. Se l’elettricità sale oltre il tuo prezzo hedge, perdi sul contratto derivato, ma venderai elettricità a prezzi più alti ai tuoi clienti. Se l’elettricità scende, guadagnerai sul contratto derivato, ma venderai elettricità a prezzi più bassi ai tuoi clienti. Sono le banche stesse che esortano le società a fissare ex ante il prezzo dell’energia così da rendere più “bancabili” i nuovi progetti per nuovi impianti (soprattutto rinnovabili).
In teoria un contratto derivato sull’energia è una gran cosa per permettere alle compagnie di non essere esposte al rischio prezzi. Veronica Ciancibello, Senior Business Developer European Power Derivatives di EEX Group, lo spiega bene nelle sue slide. Nella pratica un contratto derivato potrebbe richiederti più soldi di quanto tu possa pagare e portarti al disastro.
Quando Enel vende un contratto derivato sull’EEX, la clearing house richiede ad Enel di mettere a garanzia qualcosa come il 10-15% del valore di quel contratto. Se vendi elettricità per un controvalore di 10 miliardi sul mercato dei derivati, ti verrà richiesto di mettere a garanzia 1 miliardo, così tutte le controparti stanno sicure che tu onorerai il contratto. Questo è quello che si chiama “margine iniziale”. Se il prezzo dell’elettricità il giorno dopo sale dell’1%, ti verrà richiesto di integrare il margine e il mercato ti chiederà quello che si chiama margine di variazione (100 milioni di euro). Se il prezzo scende dell’1% ti verranno accreditati sul conto 100 milioni di euro cosicché il margine a garanzia sia sempre pari al 10% del contratto. Il problema è che se il prezzo dell’elettricità aumenta del 300%, ti verranno richiesti 2 miliardi di euro per integrare il margine di garanzia e allora questo potrebbe diventare un problema. In teoria quello che perdi sul contratto derivato lo guadagni dalla vendita di elettricità ai tuoi clienti con prezzi più alti, ma quelle vendite avverranno più in là nel tempo mentre tu intanto devi integrare i margini (di qui la richiesta di linee di credito per far fronte a tali impegni). E poi non è neanche detto che tu riesca a rifarti con i tuoi clienti perché nel frattempo il governo ti tassa i cosiddetti “extraprofitti” oppure cambia le modalità di indicizzazione del prezzo a cui vendi l’elettricità mandando a ramengo tutta la tua strategia di hedging.
Il capo della trading unit di Fortum commenta amaramente sulla necessità di una sfera di cristallo:
The very high collateral requirements of the electricity exchanges are particularly challenging for electricity producers. Fortum is one of the biggest electricity producers in the Nordic market, so this issue is especially important to us. With a large production portfolio comes large collateral requirements. At their peak, our collateral requirements were about 5 billion euros based on the closing prices on 26.8.
Throughout the turmoil of recent months, many have wished for a crystal ball that would reveal the market’s next twists and turns. Alas, there is no such crystal ball, so we have to deal with the uncertainty of the markets. We hope for the best, but prepare for the worst. This preparedness is reflected in the aid packages for energy companies planned by the Finnish and Swedish governments. They strengthen financial resilience in the midst of volatility and provide security for any new twists and turns on the rollercoaster.
Cambi derivati
In queste settimane la Cimolai, un contractor di Pordenone con un portafoglio ordini di 1 miliardo di dollari per progetti in tutto il mondo, ha richiesto l’accesso a una procedura di concordato in bianco e dovrà fare un aumento di capitale per evitare la bancarotta. Il business va benissimo, spinto anche dalle commesse del PNRR, ma il direttore finanziario ha pensato bene di utilizzare derivati sul cambio euro/dollaro per fissare il cambio di un portafoglio lavori che è maggiormente denominato in dollari. Se il dollaro sale, Cimolai perde sui derivati, ma guadagna grazie al valore delle commesse che sono in dollari. Se il dollaro scende, Cimolai guadagna meno sulle commesse, ma i contratti derivati compenseranno i minori guadagni con proventi finanziari. È questo l’uovo di Colombo che qualche banchiere deve aver proposto alla Cimolai che voleva coprirsi dal rischio cambio su un portafoglio lavori così consistente. Il problema, però, è che Il dollaro negli ultimi mesi si è apprezzato molto velocemente (siamo ormai da tempo sotto la parità euro/dollaro) e le banche hanno chiesto alla Cimolai margini di variazione che non può permettersi. I guadagni dalle commesse in dollari, infatti, arriveranno più in là nel tempo, mentre i margini vanno pagati ora. Il presidente di Cimolai dice che i contratti sono stati fatti a sua insaputa, ma posso immaginare come sia andata la faccenda: un set di deleghe ampio e vago al CFO, il CFO che va nell’ufficio del presidente e gli dice “facciamo derivati perché siamo intelligenti e così non perdiamo sulle nostre commesse in dollari”; il presidente che ci capisce poco di finanza e così un anno dopo la Cimolai si presenta al tribunale con un concordato in bianco e l’esigenza di un aumento di capitale da 200 milioni.
Altri derivati
Altri episodi notevoli accaduti nell’ultimo anno sono lo spettacolare crack di un produttore cinese che ha quasi fatto saltare il London Metal Exchange; il crack di Archegos e la saga Gamestop che ha rischiato di far fallire il broker Robinhood che a un certo punto non era più in grado di integrare i margini di garanzia per conto dei propri clienti che continuavano a comprare opzioni su Gamestop come pazzi.
Ma tutto questo è niente rispetto a quello che è successo nelle scorse settimane nel Regno Unito con il sistema pensionistico sull’orlo della bancarotta. Anche lì c’entrano i derivati.
Bond derivati
Sei un fondo pensione che ha una serie di passività future (le pensioni future da pagare agli iscritti) il cui valore attuale dipende in gran parte dal livello dei tassi di interesse. Più alti sono i tassi di interesse, più facile sarà far fronte a quelle passività dal momento che potrò investire i contributi che ricevo oggi dai miei iscritti per comprare titoli di Stato a 20-30 anni che mi garantiranno un flusso elevato di cedole con cui pagare le loro pensioni. Se i tassi sono bassi, però, sarà più difficile far fronte a quelle passività (infatti il loro valore attuale aumenta se le sconto con tassi più bassi).
Dopo Lehman e soprattutto dopo il COVID, i tassi sono scesi sempre più giù creando seri problemi a questi fondi (nonché alle assicurazioni vita).
Come fare? Per molto tempo si è parlato di deficit pensionistico da parte delle imprese: in pratica le imprese avrebbero dovuto prima o poi mettere mano al portafoglio per colmare il deficit tra impegni pensionistici e ritorni sulle attività investite visto che il rendimento dei contributi versati dai dipendenti non sarebbe stato sufficiente.
Poi a un certo punto sono arrivati degli schemi chiamati “Liabilities Driven Investment”, per gli amici LDI, venduti da varie banche d’affari e asset manager come Blackrock e Pimco.
“LDI” è un’espressione furba e innocua per spingere entità noiose come i fondi pensioni verso investimenti a leva. Prima i fondi compravano tante obbligazioni, un po’ di azioni e un po’ di assset illiquidi per garantirsi un futuro flusso di ricavi. Siccome i rendimenti sulla parte obbligazionaria erano piuttosto bassi, alcuni asset manager hanno pensato che si potessero incrementare quei ritorni utilizzando la leva tramite derivati: in pratica anziché comprare 100 sterline di bond che rendono il 2%, posso comprare bond per 400 sterline semplicemente mettendo a garanzia 100 sterline come margine di garanzia. Così anziché ricevere 2 sterline di cedole su 100, ricevo 8 euro di cedole su 400 avendo investito solo 100 sterline. Grazie alla leva ho moltiplicato il rendimento iniziale del 2% per 4 volte e, nonostante i tassi bassi, potrò far fronte agli impegni pensionistici, con grande soddisfazione per le aziende che non dovranno far fronte a gap pensionistici.
Il meccanismo dei margini di garanzia ormai lo conoscete: se il valore di quei bond da 400 sterline scende dell’1%, devo integrare il margine di garanzie con 4 sterline. Quando i tassi salgono, il valore dei bond scendono (le cedole sono fisse, per cui il prezzo scende per offrire rendimenti in linea con i nuovi tassi). Viceversa, se i tassi scendono il valore dei bond salgono.
I gestori dei prodotti LDI avevano cucito la strategia in derivati su misura per ogni fondo pensione così da far in modo che il valore dei derivati si muovesse al variare dei tassi di interesse in modo speculare rispetto al valore attuale delle prestazioni pensionistiche future. Tanto perdo in derivati, tanto guadagno da un valore minore delle mie prestazioni pensionistiche. Tanto perdo da un valore maggiore delle mie prestazioni pensionistiche, tanto guadagno dalle mie posizioni in derivati.
Fin qui tutto bene, ma sono sicuro che avrete intuito che i fondi pensione sono incappati nello stesso problema della Cimolai o di Uniper. La volatilità del sottostante (cioè l’asset a cui i derivati sono collegati) è esplosa un po’ perché le banche centrali stanno alzando i tassi a una velocità senza precedenti, un po’ perché il governo britannico ci ha messo del suo dandosi alla pazza gioia quando ha presentato un budget che contemplava tagli alle entrate enormi e spese pazze. Il risultato è che gli investitori hanno venduto titoli di Stato incrementando ulteriormente il calo delle quotazioni già in essere per l’effetto di rialzo dei tassi.
Per far fronte alla variazione dei margini i fondi pensione britannici avrebbero dovuto vendere titoli di Stato per 50 miliardi di sterline in un solo giorno su un mercato in cui normalmente si scambiano 10-12 miliardi di sterline al giorno. Le vendite forzate avrebbero innescato uno spaventoso calo dei titoli di Stato peggiorando ulteriormente la posizione del sistema pensionistico, che per un attimo ha rischiato la bancarotta. In questo contesto è intervenuta la Bank of England offrendo di acquistare i bond dai fondi pensione fornendo la liquidità che non c’era sul mercato e arrestando il calo dei bond.
L’aspetto paradossale di tutta la questione è che con l’aumentare dei tassi di interesse il valore degli asset dei fondi pensione è diminuito da 1.900 miliardi a 1.400 miliardi di sterline, mentre le passività pensionistiche sono crollate da 1.800 miliardi di sterline a 900 miliardi sterline. Sono 400 miliardi di sterline in più di surplus! In teoria gli LDI hanno funzionato, ma in pratica… è sempre meglio essere modesti e liquidi che ricchi e in crisi di liquidità.
Se volete farvi qualche risata retrospettivamente, leggetevi la brochure commerciale con cui BNY Mellon promuoveva i Libility Driven Investments. In questo tipo di materiale commerciale si evitano come la morte termini come “leva” e “derivati”, utilizzando invece frasi rassicuranti come “A scheme uses partially funded instruments, backed by cash and core European government bonds” (che è una perifrasi per dire “derivati”).
Mi ricorda un po’ l’episodio che viene raccontato in The Bond King, il libro su Bill Gross di cui vi ho parlato tempo fa su questa newsletter. Bill Gross gestiva un fondo obbligazionario, un asset class piuttosto noiosa. Per ravvivare un po’ i rendimenti, Gross intuì già dagli anni ’80 che si poteva fare trading sulle obbligazioni anziché limitarsi a comprarle per incassare le cedole. A partire dagli anni ’90 Gross cominciò ad utilizzare i derivati (un po’ come i fondi pensione britannici) per poter comprare lo stesso quantitativo di bond con meno cash e poter comprare quindi più asset. In The Bond King si racconta di un simpatico episodio in cui il comitato investimenti deve decidere come contabilizzare questi derivati:
Sitting on the trade floor in the early 1990s, Brynjo [trader John Brynjolfsson] explained this accounting system to the members of the Investment Committee. “… So, we’ll just call that leverage,” he concluded.
Every face went white(r). “That’s not going to work,” one of them said.
“You want me to change the formula?” Brynjo asked.
“No. No, the formula is fine. It’s the name.”
“Well, what else are we going to name it?”
Leverage, borrowing money, can amplify returns because you can invest more, which is great in good times. But leverage only ups the stakes; it can also help you blow up spectacularly. The cocaine of investing, leverage adds juice, but the price for using it might be higher than you can pay. That’s why its use is restricted in funds meant for pensioners, who cannot afford to lose all their money. Even using the word leverage can make conservative managers of mutual and pension funds nervous.
Brynjo cast around in his mind. Leverage … Finance loves the Greek alphabet, and Brynjo was vaguely familiar with it. “What about ‘Lambda Cash’?” Because Lambda also started with an L.
The Investment Committee approved.
Rischi derivati
Derivati sull’energia. Derivati sulle azioni. Derivati sulle valute. Derivati sui tassi di interesse. Sono tutti ambiti molto diversi caratterizzati dallo stesso epilogo catastrofico.
I derivati non sono il male in sé e sono uno strumento utile per speculare su certi movimenti o nell’ambito di una strategia integrata di risk management. Il problema è quando ci si illude che un derivato possa far scomparire il rischio dandoti l’illusione di una finta sicurezza. Non ci sono pasti gratis in economia e non c’è un modo per eliminare il rischio sui prezzi dell’elettricità, sui tassi di interesse o sulle valute. Quello che fanno i derivati è spostare il rischio in angoli remoti della gaussiana lì dove non possiamo vederlo. Chi avrebbe mai pensato che i prezzi dell’elettricità sarebbero triplicati in due mesi per colpa di una guerra? Il 28 settembre i titoli di Stato inglesi si sono mossi in un solo giorno più di quanto mediamente si sono mossi in un anno negli ultimi 27 anni. Chi avrebbe mai potuto prevederlo?
Per dirla con le parole di Peter Bernstein in Against the Gods:
The prevalence of surprise in the world of business is evidence that uncertainty is more likely to prevail than mathematical probability
Tutto negli ultimi anni ci ha spinto verso questi incidenti di percorso che saranno sempre più frequenti. I tassi di interesse bassi hanno spinto attori come fondi pensioni e assicurazioni e a pompare i rendimenti dei loro portafogli con i derivati. I regolatori hanno spinto sempre più il trading dei derivati ad essere negoziato attraverso cosiddette casse di compensazione e garanzia che gestiscono i margini in maniera aggressiva (bassi margini) così da incoraggiare l’uso di derivati in maniera poco prudente. Il rapido rialzo dei tassi di interesse sta innescando una serie di eventi imprevedibili che si stanno ripercuotendo a catena su varie asset class.
Le casse di compensazione e garanzia stanno correndo ai ripari aumentando i requisiti di margini di garanzia iniziale come conseguenza della nuova volatilità. Così se prima potevi usare 10 milioni di sterline per esporti su 100 milioni di sterline, adesso per lo stesso nominale ti verrà richiesto un margine di 20 milioni. Questo meccanismo forzerà un deleverage presso tutti gli attori. Il che non è necessariamente un male, anzi, ma quando tutti fanno deleverage nello stesso momento… la volatilità aumenta e assisteremo a sempre più incidenti di percorso.
Cosa sto leggendo / ascoltando
Quest’estate, durante le consuete otto ore di macchina per arrivare sulle Dolomiti, mi hanno tenuto compagnia i dieci episodi di “Chez Proust”, il raffinatissimo podcast di Ilaria Gaspari su Proust. Come sia venuto in mente a qualcuno di produrre un podcast su Proust è un mistero, ma il risultato è mirabile e prezioso non solo per chiunque abbia letto La Recherche nella solitudine dei propri vezzi letterari, se non del suo snobismo, ma anche per chiunque sia incuriosito dal mondo de La Recherche e vuole capire con che cosa avrebbe a che fare prima di cimentarsi con la scalata del romanzo più lungo del mondo. Ilaria Gaspari discute colloquialmente delle intermittenze del cuore, della memoria involontaria, di Odette e compagnia cantante con la naturalezza con cui si potrebbe commentare una serie di Netflix e l’erudizione con cui si tiene un corso di letteratura francese.
Sì ma che c’entra tutto questo con i soldi? “Chez Proust” mi ha fatto venire voglia per un istante di cimentarmi di nuovo nella lettura de La Recherche (esercizio che ha occupato 18 mesi della mia vita dieci anni fa), ma alla fine, avendo oggi quattro persone in più che vivono in casa mia, ho desistito e mi sono limitato a rileggere per sfizio i passaggi che avevo sottolineato. Con mia grande sorpresa, mi sono reso conto che in Proust si parla molto di finanza.
Già nella parte iniziale del romanzo si parla di una grossa eredità in denaro che il protagonista riceve da una zia e che il padre si ritrova a dover amministrare fino alla maggiore età chiedendo consigli all’ex ambasciatore Norpois. Proust in questo passaggio descrive perfettamente le ambigue sfumature di un private banker che si ritrova a dover contemplare le fortune altrui nell’esercizio di dispensare consigli per gestirle:
Il signor Norpois abbozzò un impercettibile sorriso di congratulazioni: come tuti i capitalisti, stimava invidiabile un buon patrimonio, ma riteneva più delicato non complimentarsi, se non con un segno d’intelligenza appena accennato, per quello che uno possedeva; d’altronde, lui stesso essendo smisuratamente ricco, gli sembrava indice di buon gusto mostrare che trovava notevole ogni minima rendita altrui, non senza, tuttavia, un contraccolpo di gioiosa soddisfazione al pensiero della superiorità delle sue. In compenso non esitò a rallegrarsi con mio padre per la “composizione” del suo portafoglio, “d’un gusto così sicuro, così delicato, così fine”. Si sarebbe detto che attribuisse ai rapporti reciproci dei valori di Borsa, e persino ai valori di Borsa stessi, una sorta di pregio estetico.
Solo Proust poteva mettere a nudo, effettivamente, la quasi perversa fascinazione per l’asset allocation di chi si cimenta con la finanza. E la stessa fascinazione, poche righe dopo viene vista dal punto di vista del bambino (il protagonista) che assiste alla scena del padre che tira fuori dal cassetto i titoli azionari per mostrarli a Norpois (non c’era il trading online):
Per certi vecchi valori, invece, mio padre, che non ne ricordava più con esattezza i nomi, facilmente confondibili con quelli di azioni similari, aprì un cassetto e li mostrò materialmente all’Ambasciatore. La loro vista mi affascinò; erano impreziositi da guglie di cattedrali e figure allegoriche, come certe vecchie pubblicazioni romantiche che mi era capitato di sfogliare. Tutto ciò che appartiene a una data epoca si assomiglia; gli artisti che, in un certo periodo, illustrano i poemi sono gli stessi ai quali si rivolgono le società finanziarie. E non c’è niente che mi evochi certe dispense di Notre-Dame de Paris, o di opere di Géerard de Nerval, che mi vedevo appese nella vetrina della drogheria di Combray, come nella sua cornice rettangolare e fiorita cui fa da supporto qualche divinità fluviale, un’azione nominativa della Compagnia delle Acque.
Proust descrive un’abitudine reale del tempo, che era quella di fregiare i titoli azionari con immagine evocative e artistiche per renderli più appetibili. Chiamiamola, forse, una versione antica di quella che oggi è “l’equity story”.
Quando il protagonista è a Venezia per dimenticare Albertine dopo la sua morte, è una lettera del suo agente di cambio che fa correre la memoria involontaria verso Albertine e la tristezza per la perdita di Albertine si sovrappone a un consapevole imbarazzo per le perdite accumulate dagli investimenti sui mercati finanziari (maledetto Norpois!) :
Così una sera, per esempio, una lettera del mio agente di borsa dischiuse un istante per me le porte della prigione in cui Albertine stava dentro di me, viva, ma così lontano, così in fondo da rimanermi inaccessibile. Dopo la sua morte non mi ero più occupato delle speculazioni che avevo fatte allo scopo d’avere più denaro per lei. Ora, il tempo era passato: grandi saggezze dell’epoca precedente erano state smentite dall’attuale, come era successo una volta a Thiers quando aveva detto che le ferrovie non potevano aver successo; e i titoli di cui il signor di Norpois ci aveva detto: “L’interesse che fruttano non è certo molto alto, ma almeno il capitale non sarà mai deprezzato” erano spesso quelli che avevano subito maggiori ribassi. Solo per i consolidati inglesi e per le Raffinerie Say, dovevo pagare agli agenti differenze così notevoli, oltre agli interessi e ai riporti, che con un colpo di testa decisi di vendere tutto, e da un momento all’altro mi trovai a non possedere più che un quinto di ciò che avevo ereditato dalla nonna e che ancora possedevo quando era viva Albertine
In tutto il romanzo c’è una dialettica continua tra i valori in calo dell’aristocrazia post-rivoluzionaria e quelli in ascesa di una borghesia industriale che cerca l’affermazione nei salotti attraverso i valori finanziari e l’arte. L’aristocrazia sembra sopravvivere grazie all’adozione degli stessi valori finanziari un tempo disprezzati. Così la Duchessa di Parma si ripete una sorta di preghiera in cui ringrazia Dio per averle donato titoli aristocratici e un buon portafoglio di investimenti, riprendendo sul piano della sintassi la trama del dualismo lignaggio/finanza:
Ricorda che se Dio t’ha fatta nascere sui gradini d’un trono non devi approfittarne per disprezzare coloro cui la divina Provvidenza (sempre sia lodata!) ha voluto che tu fossi superiore per nascita e ricchezza. […] I tuoi avi erano principi di Clèves e di Juliers dal 647; Dio, nella sua bontà, ha voluto che tu possedessi quasi tutte le azioni del canale di Suez, e il triplo delle Royal Dutch possedute da Edmond de Rothschild; la tua discendenza in linea diretta è stabilita dai genealogisti a partire dall’anno 63 dell’era cristiana; hai due imperatrici per cognate. Non dare mai l’impressione, quando parli, di ricordarti di tali immensi privilegi: non che siano precari (non si può togliere nulla all’antichità della razza, e ci sarà sempre bisogno di petrolio), ma è inutile insegnare che sei nata meglio di chiunque altro e che i tuoi investimenti sono di prim’ordine, dal momento che lo sanno tuti.