#39 Promettenti truffatori
Non me ne vorranno gli appassionati degli spiegoni e delle lunghe edizioni monotematiche, ma questa volta ho deciso di provare un nuovo formato più conciso e facile da scrivere. Mi riconosco in quello che scrive il mio guru del marketing:
scrivere è come andare di corpo: se non lo fai, non stai bene. Lo fai per te, non per gli altri
Qui non si scrive da un mese e la situazione va ben oltre il livello di guardia di un’estiva stitichezza del viaggiatore.
Anche perché nel frattempo è caduto il governo e comincia a prospettarsi una lunga estate dello spread. Sarà diversa rispetto al precipitarsi degli eventi del 2012, ma non meno calda.
Lo spread è tornato stabilmente sopra 230 bps (paghiamo il 3.23% sul nostro debito a dieci anni rispetto ai tedeschi che pagano lo 0,92%, gli spagnoli che pagano il 2,10% e i greci - sì i greci - che pagano il 2,94%).
In realtà lo spread aveva già raggiunto e superato 230 bps anche “quando c’era lui”. Il mercato era particolarmente preoccupato per la fine del programma di acquisti di bond governativi da parte della BCE e per l’inizio della fase di rialzo dei tassi che avrebbe inciso in maniera significativa sugli oneri finanziari delle economie più indebitate.
Poi la BCE dichiarò che avrebbe fatto qualcosa per alzare i tassi e al tempo stesso evitare un allargamento degli spread e le acque si calmarono.
L’annuncio ufficiale di questo “qualcosa” - per uno scherzo del destino - sarebbe arrivato proprio il giorno delle dimissioni di Draghi. Ma ci arriviamo.
C’è da preoccuparsi? Mi torna utile quello che scrissi a febbraio 2021 proprio in occasione dell’insediamento del governo Draghi:
So che siamo stati scottati dall’esperienza del 2012, ma dovremmo smetterla di utilizzare lo spread come stetoscopio per la salute delle nostre finanze pubbliche. Allo stato attuale, il debito italiano è insostenibile pagando interessi dello 0,5% così come con interessi del 3%. Quello che cambia tutto è la crescita.
Quell’affermazione vale ancora.
Lo spread a 230 renderà più oneroso il rifinanziamento del debito pubblico, ma non cambia sostanzialmente il profilo di sostenibilità delle nostre finanze. Vi dirò di più. Nell’attuale contesto macroeconomico, con un’inflazione all’8% e un costo del debito inferiore al 2% (questo è quello che stiamo pagando mediamente grazie al debito che ormai abbiamo emesso e che resta quello finché non lo rifinanzi a questi tassi nonostante lo spread), il rapporto debito/PIL potrebbe anche scendere in presenza di un deficit del 6-7%. Infatti il denominatore del rapporto debito/PIL viene misurato in termini nominali e l’inflazione lo fa incrementare anche in presenza di una crescita reale modesta (quando sentite parlare di “crescita del pil” si considera sempre una crescita reale al netto dell’inflazione). Da che mondo è mondo, l’inflazione è la principale scappatoia dal debito.
Per utilizzare un caso concreto, nell’ultimo DEF di aprile scorso il governo prevede che a fronte di un deficit del 5,6% nel 2022 e una crescita reale del PIL del 3,1%, il debito pubblico si ridurrà dal 150,8% al 147,0% (senza inflazione crescendo al 3,1% e facendo deficit per 5,6%, il rapporto debito/PIL sarebbe aumentato). E quando è stato redatto il DEF di aprile le aspettative d’inflazione non erano ancora alta come adesso.
Però fate presto!
Il debito, però, va comunque rifinanziato. A prescindere da tutti quegli indicatori macroeconomici come deficit, rapporto debito/pil e spread, gli stati a un certo punto falliscono perché non trovano più il modo di rifinanziare le loro scadenze e noi di scadenze ne abbiamo tante. Inoltre nell’attuale situazione, il grado di incertezza intorno alle politiche economiche future, non consente a nessuno di investire nel nostro Paese, né dall’estero né dall’Italia.
Meno investimenti = meno crescita e allora si che arrivano i problemi.
Come dicevo, la BCE nel frattempo ha provato a metterci una toppa proprio nel giorno in cui Draghi ha dato le dimissioni attraverso uno strumento chiamato TPI (Transmission Protection Instrument). Noi lo chiamiamo “scudo anti spread”, ma in burocratese - e per non urtare la sensibilità di nessuno - è meglio chiamarlo con il più neutro acronimo TPI.
La BCE aveva cominciato a lavorare a questo strumento - quando ancora Draghi era in carica - per tranquillizzare i mercati preoccupati degli effetti avversi di un rialzo dei tassi sui Paesi più indebitati.
A differenza degli altri strumenti (come l’OMT - il Bazooka di Draghi), il TPI potrà essere attivato discrezionalmente da parte della BCE senza bisogno che un Paese richieda alla banca centrale di intervenire ad acquistare i suoi bond. La BCE valuterà autonomamente se particolari dislocazioni nel mercato dei titoli di Stato di alcuni Paesi richiedano questo intervento e se sussistano i presupposti per attivarlo (cioè se sostanzialmente le finanze di quel Paese sono in ordine e se si sta comportando secondo le regole comunitarie).
Quando la BCE si è messa a lavorare a questo strumento un mese fa, lo scopo non era certo quello di proteggere l’Italia dal rischio di una classe politica disfunzionale. Tanto che in conferenza stampa Christine Lagarde, rispondendo a una giornalista che le chiedeva come si inquadrasse questo strumento nell’attuale situazione politica, dichiarava un po’ sprezzante:
Let me just remind you that the ECB does not take a stance on political matters. Political matters are for the democratic process of each and every member state, and that is certainly the case for the country that you are referring to. […] So the Governing Council will make the assessment of whether a country meets the eligibility criteria or not at the time when it has to make those determinations. And it will do so having a threefold assessment, if you will. First of all, it will determine a comprehensive assessment of market and transmission indicators. There's a whole range of such indicators. Second, it will at that time evaluate the eligibility criteria. Third – that's very important – it will have to make a judgement call that activation of purchases under the TPI is proportionate to the achievement of the ECB primary objective. Now, those of you who are familiar with the legal requirements and with the concept of proportionality will have understood what I mean by that, but this is, obviously, operational in relation to any activation decision that is being made.
(notate come Christine Lagarde eviti di pronunciare il nome “Italy”, neanche fosse una parolaccia)
Quindi, per riassumere. La BCE è pronta ad intervenire se gli spread dovessero, a suo insindacabile giudizio, salire in maniera ingiustificata, sempre che il Paese, a suo insindacabile giudizio, si stia comportando bene. Inoltre, ci sono sempre l’OMT e l’ESM per salvare le finanze di qualsiasi Paese dell’Eurozona che possono essere attivati a patto che il Paese lo richieda e sottoscriva un programma di aggiustamento macoreconomico (sinonimo burocratese per “austerity”).
L’OMT è un bazooka d’emergenza rivolto verso i mercati finanziari attivabile con un certo costo per decisione di un governo. Il TPI è invece una sorta di bazooka al contrario rivolto verso i governi: garantisce loro stabilità anche in un regime di tassi in salita a patto che non venga loro in mente di rivoltarsi contro la cornice di regole europee (come a qualcuno saltò in testa nel 2018 in Italia). Senza TPI, in un contesto di tassi in salita come quale quello attuale, le finanze di un Paese come l’Italia sarebbero comunque a rischio.
Jacques Chirac usava dire:
Les promesses n'engagent que ceux qui y croient (le promesse impegnano solamente coloro che ci credono)
Aforisma criptico, per dire che le promesse sortiscono i loro effetti su coloro che ci credono senza impegnare chi dovrebbe essere tenuto a mantenerle. Questo vale in particolar modo per le banche centrali.
Proprio oggi mentre scrivo è l’anniversario del famoso Whatever it takes di Draghi. Era una promessa che non aveva bisogno di essere mantenuta (nessun Paese si sarebbe inflitto lo stigma di un accordo con l’ESM) perché il mercato ci avrebbe creduto.
Varrà lo stesso per Christine Lagarde? La sua prima sortita pubblica in un momento di crisi come quello della pandemia che aveva portato lo spread italiano sui titoli tedeschi a quota 300 fu:
We are not here to close the spreads
E siccome la prima risposta è quella che conta, penso proprio che il mercato andrà questa volta a testare, da una parte, la determinazione della BCE di attivare il TPI, dall’altra, la volontà dell’Italia di mettersi nelle condizioni di permettere l’utilizzo del TPI nonostante le pulsioni elettorali.
La campagna elettorale balneare sarà infatti caratterizzata da una forte tendenza a formare coalizioni molto ampie per via dell’attuale legge elettorale e della recente riduzione dei parlamentari. I partiti ai margini avranno sempre più peso contribuendo ad aumentare instabilità e spinte antisistema.
Per definire bene la situazione mi viene in aiuto un analista di Mediobanca che ha riassunto così la situazione:
Italy: hugging syndrome and reverse ECB bazooka
Aspettiamoci tante promesse che vincoleranno elettori e mercati lasciando invece ampio margine di manovra a tutti i vari partiti e partitini che le avranno elargite.
Varie ed eventuali
Cosa strane. Netflix perde nel secondo trimestre un milione di utenti paganti, la metà di quanto avevano previsto gli analisti. Il titolo ha festeggiato con un guadagno complessivo del 25% nelle ultime due settimane. Non è andato tutto malissimo, quindi è andata bene. Non mi interessa tanto discutere sulla valutazione attuale di Netflix e su quanto sia giustificato o meno questo incremento delle azioni a fronte di una decrescita meno severa di quanto atteso.
Ciò che è interessante è stata la decisione di Netflix di pubblicare i primi sette episodi della quarta stagione di Stranger Things sulla piattaforma il 27 maggio e gli ultimi due episodi il 1 luglio. Sono sicuro che un bel po’ di utenti ci avranno pensato due volte prima di cancellare il loro abbonamento a Netflix entro il 30 giugno, consentendo a Netflix di contenere il calo degli abbonamenti nel secondo trimestre (che terminava il 30 giugno).
Le modalità di monetizzazione della musica hanno già inciso su come vengono scritte le canzoni (brani corti per favorire più ripetizioni e con un incipit subito accattivante). Aspettiamoci che anche le serie verranno scritte con l’intento di incrementare il Customer Lifetime Value delle piattaforme streaming tenendo lo spettatore appiccicato alle piattaforme più tempo possibile: niente binge watching, sempre più “saghe” che si prestino a spin-off e sequel di ogni tipo e un allungamento generale del brodo.
Crypto Tesla. Mi piace come si stia lentamente chiudendo il cerchio su tutte le follie di cui avevo parlato nel 2021. Una di queste era Tesla che aveva speso 1,5 miliardi di dollari per comprare dei bitcoin. Nell’ultima trimestrale Tesla ha dichiarato di aver “covertito il 75% dei suoi bitcoin in valuta fiat” (interessante questa perifrasi per dire che hai venduto i bitcoin). La vendita di Bitcoin è stata utile a Tesla per mostrare un cash flow positivo, nonostante l’EBITDA in calo e gli elevati investimenti previsti per far fronte a problemi logistica, aggiungendo 900 milioni di dollari alla cassa. Elon Musk ha commentato così la vendita di bitcoin nella call riservata agli analisti:
The reason we sold a bunch of our bitcoin holdings was that we were uncertain as to when the covid lockdowns in China would alleviate, so it was important for us to maximize our cash position.
This should not be taken as some verdict on Bitcoin, it’s just that we were concerned about overall liquidity for the company.
E’ perfettamente normale che in tempi di crisi tutti corrano ai ripari. Cash is king dopotutto e, che che ne dica Musk, questo è l’esempio più lampante di come il bitcoin non sia né cash né king.
Colpisce un po’ l’affermazione di Musk che dice di essere preoccupato per la liquidità complessiva di Tesla e deve correre ai riparti vendendo bitcoin per 900 milioni di dollari. Tesla ha più di 18 miliardi di dollari in cassa e un flusso di cassa da attività operative di 8-10 miliardi di dollari l’anno. Di cosa si preoccupa?
Casavo. Complimenti a Casavo che in un contesto difficile come quello attuale in cui fioccano in downround è riuscita a raccogliere 100 milioni di equity oltre ad assicurarsi linee di debito asset-backed da 300 milioni di euro per finanziarie la sua crescita. Casavo non ha mai fatto disclosure delle valutazioni conseguite (buona idea visto che se poi fai downround non è un buon segnale per il mercato). C’è stata una piccola operazione di secondario nel 2021 avvenuta a una valutazione di circa 200 milioni di euro. Casavo ha dichiarato ufficiosamente che quest’ultimo round del 2022 è avvenuto a una valutazione più che doppia rispetto a quella raggiunta nel 2021, per cui penso che possiamo collocare l’attuale valore di Casavo intorno a 400 milioni. La valutazione, insieme al suo incremento nell’ultimo anno, è sorprendente soprattutto se vista in relazione alla performance di Opendoor (operatore statunitense con un modello di business, per il momento simile, a quello di Casavo) che nell’ultimo anno ha perso il 75% del suo valore portandosi a una valutazione di 1 miliardo di dollari di EV nonostante abbia raggiunto il break-even e venduto 40.000 unità immobiliari negli ultimi dodici mesi. Casavo, punta a vendere 2.500 unità immobiliari nel 2022, più o meno un ventesimo di quanto venduto da Opendoor negli ultimi dodici mesi sul mercato statunitense. Eppure la valutazione raggiunta di Casavo è il 40% di quella di Opendoor. Delle due l’una: Opendoor è sottovalutata, oppure Casavo è sopravvalutata. Data la partecipazione di investitori professionali come Exor, 360 e Neva nel round di Casavo - peraltro in un momento non particolarmente esuberante per il mondo delle società innovative e per il venture capital in generale - è ragionevole pensare che Casavo sia stata valutata con i piedi ben piantati al terreno e che Opendoor sia ancora troppo penalizzata dal pessimismo che regna sui mercati finanziari e dall’essersi quotata tramite una SPAC promossa da Chamath Palihapitiya. Gli stessi investitori che hanno creduto in Casavo potrebbero a questi prezzi promuovere un’acquisizione di Opendoor. Aspettiamo il 4 agosto, data di pubblicazione della trimestrale di Opendoor per vedere che succede.
I signori della fuffa
Ho finito di leggere la settimana scorsa Money Men, ottimo libro di Dan McCrum, giornalista investigativo del Financial Times che ha dedicato gli ultimi 5 anni della sua vita a smascherare una clamorosa truffa da miliardi di euro che ha sconvolto il mondo corporate e il mercato finanziario tedesco.
Come tutte le truffe, la storia di Wirecard offre una prospettiva interessante sulla psicologia umana, sulle motivazioni che spingono chi porta avanti la truffa e la propensione dei truffati a subirla senza spirito critico nonostante le evidenze. È come se in qualche modo avessero bisogno di credere in qualcosa troppo bello per essere vero. In Money Men colpisce l’avversione della stampa tedesca e del regolatore verso short seller e stampa anglosassone che sono stati per anni indagati e penalizzati al posto di Wirecard semplicemente per aver provato ad esporre i trucchetti contabili utilizzati da Wirecard.
Il libro poi spiega benissimo come abbiamo creato una catena fragile di certificazioni ufficiali o informali su cui noi tutti basiamo decisioni importanti e scelte di investimento. Nella vicenda Wirecard (ma anche nella vita di tutti i giorni) nessuno - a parte i fondi hedge che vendevano allo scoperto - ha il tempo di effettuare la propria due diligence sulla società e tutti facevano affidamento sul lavoro di terze parti che a loro volta facevano affidamento sul lavoro di altre terze parti (revisori, banche, avvocati, consiglieri di amministrazione, regolatore). A un certo punto ognuno cercava l’appoggio di altri per corroborare dati finché il bubbone non scoppiò veramente quando un anonimo funzionario di un branch filippina in cui dovevano esserci 1,5 miliardi di dollari (perché una società tedesca dovrebbe tenere tanta liquidità in una banca filippina), interrogato su alcuni estratti conto prodotti Wirecard scrisse al revisore:
“Please be informed that the attached documents are spurious”.
McCrum spiega come nel giorno in cui uscì quella dichiarazione praticamente mezza Germania si sia ritrovata a cercare su google il significato del termine “spurious” mantenendo comunque un barlume di speranza alimentato dll’ambiguità di tale termine.
Sul tema della truffa, i moventi dei truffatori e le vulnerabilità dei truffati, quest’anno Netflix offre prodotti molto ben fatti e godibili come Inventing Anna e il Truffatore di Tinder. A settembre, poi, uscirà anche Wanna, la docuserie su Wanna Marchi.
In Inventing Anna, Anna Delvey si finge un’ereditiera tedesca per entrare nell’alta società newyorchese, comprare un palazzo al centro di Manhattan e farne la sede di una sua fondazione esclusiva. I meccanismi della truffa sono esattamente uguali a quelli descritti da McCrum nel libro su Wirecard: gente che si fida perché vede altra gente fidarsi. Soldi che chiamano soldi. Il tutto condito con un pizzico di genio.
Ciao e ricordate sempre:
Les promesses n'engagent que ceux qui y croient