#37 Scomode rate
Ciao a tutti e ben tornati. Questo sarà un numero dedicato ai soldi, sai che novità.
Dopo l'Investor Day di Block, l'investimento di Poste Italiane in Scalapay e l'avvio del primo programma di esuberi in Klarna, credo sia arrivato il momento di riprendere le fila sul Buy Now Pay Later, un argomento molto caro a questa newsletter e approfondito più volte nei numeri dell’anno scorso.
Un grazie a Marco, Davide, Luca, Massimo, Michele per i caffè offerti della scorsa settimana e un grazie speciale anche a Daniela che continua ad aiutarmi a rendere questa newsletter più professionale sfrondandola dei mille refusi che sfuggono alla rilettura di chi è stato troppo tempo a rimuginare sullo stesso testo. Grazie anche a voi che continuate a condividere la newsletter con i vostri colleghi e amici.
Questo numero lo dedico a Manuela, Emily, Sara e Davide, con cui ho condiviso non solo la trasferta durante la quale ho trovato il tempo di scrivere questo numero, ma anche alcune delle idee che lo hanno ispirato.
Scala Poste
Vi ricordate di Scalapay? Se ne era parlato a settembre scorso su Segui i Mangoddi in occasione del round di investimento guidato da Tiger Global, in cui la startup (se così si può ancora chiamare) era stata valutata circa 700 milioni di dollari.
Recentemente Scalapay ha chiuso un aumento di capitale da 524 milioni di dollari guidato da Tencent e Willoughby Capital che ha visto anche l’ingresso di Poste Italiane nella compagine azionaria con un investimento di 27 milioni di dollari. Con questo round di investimento Scalapay assurge nel regno fatato degli unicorni (le startup con valutazioni superiori al miliardo di dollari).
Cosa c’entra Poste Italiane con Scalapay? Poste Italiane è uno dei maggiori emittenti di carte di debito in Italia. Mi piace definire Poste Italiane una fintech ante litteram: grazie all'introduzione delle carte prepagate Postepay nel 2003, Poste Italiane ha contribuito a formare, in tempi non sospetti, un rapporto solido e sano tra italiani, eCommerce e pagamenti elettronici.
Con oltre 17 milioni di carte emesse e un marchio che trasuda fiducia, Poste Italiane ha fatto breccia nei cuori di chi spende, ma stenta ancora a fare passi significativi nei processi di chi accetta pagamenti elettronici (i POS, ovvero il cosiddetto merchant acquiring). La partecipazione in Nexi del 3,5% (eredità dell’investimento voluto da Caio in SIA) è ormai una partecipazione meramente finanziaria che non ha un impatto sulla strategia di Poste Italiane verso i merchant, ponendosi, anzi, in conflitto con il proprio servizio di merchant acquiring.
Anche la partecipazione in Scalapay, con una quota di circa il 2%, è meramente finanziaria, ma in futuro Poste Italiane potrebbe fare considerazioni strategiche utilizzando Scalapay per acquisire più velocemente quote di mercato sui merchant, offrendo un servizio innovativo e alternativo rispetto a quello del mero merchant acquiring. Il modello Buy Now Pay Later, inoltre, consentirebbe a Poste Italiane di utilizzare la potenza di fuoco del suo bilancio in un settore in crescita come quello del credito al consumo senza contravvenire agli obblighi di legge che le impediscono di fare credito diretto (i prodotti finanziari che vende Poste Italiane sono tutti white label offerti in realtà da partner finanziari). Il BNPL, infatti, pur essendo un prodotto prettamente finanziario, viene remunerato attraverso commissioni sulle transazioni da parte dei merchant e non sotto forma di interessi da parte dei consumatori.
Non è difficile immaginare un’ecosistema “Poste Italiane” in cui da una parte i merchant sono serviti con soluzioni di logistica, servizi di accettazione dei pagamenti avanzati, dall’altra i consumatori pagano con carte, app e sistemi di pagamento targati Poste Italiane. Il tutto con la potenza del bilancio e il trust di Poste Italiane, che in un business come il BNPL fanno la differenza.
Vi sblocco un business model
Per avere un quadro più nitido di tale visione di modello chiuso e integrato, può essere utile andarsi a vedere l’Investor Day tenuto la scorsa settimana da Block (meglio nota precedentemente con il nome Square). Qui su Segui i Mangoddi si è parlato in passato di Square e dell’exploit del suo prodotto di punta Cash App.
Square è nata nel 2009 come startup per la creazione di semplici sistemi di accettazione carte. Attorno a quel prodotto, Square ha poi costruito un’ecosistema dedicato a piccole e medie e imprese in grado di offrire una soluzione unica hardware/software per la gestione di pagamenti, finanza, loyalty, paghe dipendenti e chi più ne ha più ne metta.
Nel 2013 Square lanciò un’app per lo scambio di denaro P2P (da persona a persona) chiamata Cash App. Come per il piccolo lettore di carte di credito, Square sviluppò tutta una serie di servizi attorno a Cash App dedicati questa volta ai consumatori riuscendo a scalzare la leadership di PayPal/Venmo negli Stati Uniti e diventando il mezzo di pagamento di punta presso la popolazione più giovane e poco bancarizzata.
Connettere i due sistemi (merchant da una parte e consumatori dall’altra) sarà la prossima sfida strategica di Block/Square per poter estrarre maggior valore dai suoi prodotti nell’ambito di un circuito chiuso ed integrato in cui operano merchant e consumatori. È la chiave per estrarre margini anziché farsi spremere le fee in un settore concorrenziale come quello dei pagamenti.
A parte alcune storie di successo nate in mercati emergenti (Alibaba, Tencent, Mercado Pago, etc.), l’unico esempio di azienda che è riuscita ad estrarre valore da consumatori e merchant nell’ambito di un circuito chiuso e integrato è American Express (non la confondete con Visa e Mastercard che sono meri network dove interagiscono le banche che emettono le carte di credito per i consumatori e i merchant acquirer che forniscono il POS ai merchant).
L’acquisizione di Afterpay (operatore di Buy Now Pay Later) da parte di Square/Block l’estate scorsa giocherà un ruolo fondamentale in questa strategia unendo i due ecosistemi, anche se allo stato attuale il prezzo pagato ai tempi sembra davvero eccessivo (26 miliardi di dollari). Il management di Block, però, sta eseguendo una strategia coerente e sta facendo rapidi progressi (Afterpay ad esempio è già integrato nei dispositivi POS dei negozi fisici serviti da Block e viene utilizzato come lead generation su Cash App.)
I mercati, in un contesto di stagflazione, alta volatilità e tassi in salita, si stanno focalizzando sempre più sui margini senza curarsi della crescita. Block sembra non aver recepito il messaggio e la presentazione del suo Investor Day è piena di target su TAM (Total Adressable Market) e molto vaga sui margini. Nel lungo termine, però, un network chiuso end-to-end come quello che sta sviluppando Block, offrirà alla società numerose leve per incrementare la marginalità in un mercato grande come quello dei pagamenti (in realtà il CFO di Block punta ancora più in alto sostenendo che definire Block una società di pagamenti sarebbe come definire Amazon una libreria online…).
Riparliamone tra tre anni…
Buy Now Pay Never
C’è da dire che Poste non ha scelto proprio un gran tempismo per investire nel Buy Now Pay Later.
Le valutazioni dei player quotati come Block e Affirm stanno sprofondando e il CEO di Klarna, con la pubblicazione della prima trimestrale del 2022, ha annunciato un piano di esuberi che coinvolgerà il 10% della forza lavoro. Contestualmente Klarna ha dichiarato che probabilmente dovrà accettare un downround (cioè un aumento di capitale a una valutazione inferiore rispetto all’ultimo completato a giungo scorso a un valore di 44 miliardi dollari).
Contrariamente a Block, sembra che Klarna abbia ricevuto forte e chiaro il messaggio dai mercati finanziari e nei prossimi mesi si focalizzerà sulla redditività riducendo costi e stringendo i criteri di accesso al prodotto da parte dei consumatori.
È un bel cambio di paradigma rispetto ad appena tre mesi fa, quando Klarna, con la pubblicazione dei risultati 2021, scrollava le spalle di fronte a una perdita di circa 1 miliardo di dollari. Klarna giustificava quel risultato con un grafico piuttosto fuorviante e incomprensibile in cui, rigirando un po’ la frittata, diceva che, tutto sommato, mezzo miliardo di perdite su crediti erano un buon risultato considerando che le perdite su crediti, a parità di volumi rispetto al 2019, sarebbero state “solo” di 100 milioni di dollari, con un loss ratio in miglioramento (0,36% contro 0,56%). L’incremento di volumi tra il 2019 e il 2021, a parità di modello di underwriting, avrebbe comportato “solo” 100 milioni di dollari di perdite aggiuntive, ma - udite udite - Klarna ha subito altri 300 milioni di dollari di perdite a causa di criteri di underwriting laschi nei mercati in cui si è espansa. Quindi, alla fine della fiera, il loss ratio sui crediti è aumentato dallo 0,56% allo 0,67% nel 2021 (anziché attestarsi su un fantomatico 0,36%).
Nessun problema, secondo Klarna acquisendo maggiore esperienza nei nuovi mercati il loss ratio diminuirà. Per il momento, consideriamo quelle perdite su crediti una sorta di costo di acquisizione. Finché vuoi far vedere che cresci e la metrica da mostrare in fase di fund raising è la crescita del transato, suppongo che vada tutto bene. Poi però, a un certo punto arriva il conto.
Per carità. Il ragionamento ha senso, ma mi chiedo come mai ci sia bisogno di supportarlo con un grafico così falso e tendenzioso (da notare la scala senza senso in cui la barra dei 0,2 miliardi di dollari è quasi alla stessa altezza di 0,5 miliardi).
I risultati del primo trimestre 2022 di Klarna mostrano un leggero miglioramento delle perdite su crediti che complessivamente passano dallo 0,67% allo 0,60%. Il net operating income del Q12022 dopo le perdite su crediti è stato di 295 milioni di dollari, in crescita del 9% rispetto al primo trimestre del 2021.
Bene, no? No. Il problema è che nel frattempo le spese generali (personale, sedi, etc.) sono cresciute del 65% passando da 370 milioni a 612 milioni di dollari. E così Klarna, pur incrementando il transando del 19% YoY, pur riducendo le perdite su crediti, ha realizzato nel primo trimestre del 2022 una perdita di 300 milioni di dollari contro una perdita di 100 milioni di dollari nel trimestre precedente.
Non c’è da meravigliarsi se dunque Klarna abbia cominciato a fare più attenzione alle sue spese, cominciando ahimè dal personale. L’annuncio del piano di esuberi è arrivato in modo piuttosto disordinato con un video pubblicato sulla intranet aziendale e prima ancora di aver individuato i diritti interessati. Appena quattro giorni fa, per l’inaugurazione della sua sede milanese, Klarna vantava i benefici del BNPL sull’occupazione… Come per l’investimento di Poste Italiane in Scalapay, non proprio un gran tempismo.
Ora è abbastanza facile pontificare sull’insostenibile leggerezza del modello di business su cui si basa il BNPL, con l’aria del menagramo che la sa lunga e con un pizzico di schadenfreude.
Non sarei così veloce, però, a seppellire questo modello di business…
Sell Now, Earn Later
Cominciamo col vivisezionare le unità economiche del P&L di un tipico operatore di BNPL.
Partendo da 100 miliardi di dollari di transato (Klarna fa 80 miliardi di transato, ma facciamo un numero tondo, che probabilmente nel 2022 arriverà proprio a 100 miliardi), l’operatore di BNPL ricava dal merchant il 4% di commissioni. Il merchant paga queste commissioni che remunerano due tipi di attività: processing del pagamento tramite la carta e costo del credito. Fanno 4 miliardi di dollari. Di questi 4 miliardi di dollari, circa 1 miliardo di dollari se ne va come spese di processing sui pagamenti che l’operatore di BNPL deve pagare ai network e alle banche che emettono le carte. Questa voce di costo, molto rilevante, potrà essere ridotta se e quando l’operatore riuscirà a creare un circuito chiuso senza dover ricorrere ad altri network (è quello che sta cercando di fare Block con Afterpay).
Ci sono poi i costi del funding. Mediamente il bilancio di un tipico operatore BNPL gira 12 volte in un anno (perché i prestiti hanno una duration media di un mese). Per finanziare 100 miliardi di dollari di transato devi quindi assicurarti un funding di 8,3 miliardi di dollari. Su questo funding, se ti chiami Klarna e hai una banca che raccoglie depositi bancari in Germania e Svezia, paghi mediamente il 2%. Se devi ricorrere a cartolarizzazione e wholesale financing, probabilmente è qualcosa di più vicino al 3%. Fanno più o meno 250 milioni di interessi.
Quindi dopo aver tolto i costi di processing e i costi del funding, rimaniamo con un 2,75 miliardi di dollari che devono coprire le perdite su crediti e i costi del personale. I costi annui di Klarna sono di circa 2,2 miliardi di dollari prima del piano di esuberi. Rimangono 550 di utili per assorbire eventuali perdite su crediti. Con un loss ratio su crediti di 0,6% su un transato di 100 miliardi di dollari, il bilancio chiuderebbe con una leggera perdita, ma portando il loss ratio al livello che ci si aspetta su mercati dove Klarna è presente da più anni (cioè 0,3%), chiuderebbe con un utile di 250 milioni di dollari.
Non sono numeri stellari, ma neanche catastrofici. Inoltre, il grosso della perdita non viene da dove tutti i puntano il dito (costo del rischio di credito e funding), ma dall’area in cui le startup sono meno disciplinate, anche quando diventano grandi, cioè i costi. Business model come quelli di Uber, Deliveroo e simili hanno prosperato con economics molto peggiori.
L’attuale scenario di stagflazione è particolarmente critico per un operatore di BNPL perché comporta allo stesso tempo: maggiore costo del funding per tassi di interesse in salita; maggiori volumi per gente che fa maggior ricorso al BNPL; maggiori perdite su crediti per condizioni economiche più fragili.
La risposta di Klarna è stata abbastanza sensata: freno all’underwriting e contenimento dei costi.
Ciò detto, analizzare la redditività di Klarna con gli stessi criteri con cui si esaminano i conti di una banca o di una finanziaria di credito al consumo, potrebbe essere molto riduttivo e impedirci di vedere la luna.
Non solo credito
Quante tessere loyalty avete nel portafogli (o salvate nel telefono se siete più evoluti)? I programmi di loyalty sono molto utili per le aziende perché consentono loro di seguire le vostre abitudini di spesa, sapere quali prodotti spendere nei loro negozi e negli altri negozi che partecipano al programma di loyalty. Per questo si danno tanto da fare ad offrirvi premi inutili ed esclusivi in cambio della vostra premura nel presentare sempre la tessera punti al check-out.
Quando non conoscevo bene il settore dei pagamenti, mi domandavo sempre: perché devo tirare fuori la tessera Conad per fare la spesa ogni volta, quando pago sempre con la stessa carta di credito? Possibile che Conad non riesca a identificarmi tramite la carta di credito? E a cosa serve un programma di loyalty quando pago tutto sempre con la stessa carta di credito? Non possono utilizzare quei dati per seguirmi?
Eh no. Il circuito delle carte di credito è un sistema a cinque parti dove il consumatore e il merchant sono intermediati da tre soggetti diversi che non si parlano tra loro (se non per autorizzare il trasferimento di denaro).
Ci sono: 1) la banca che ha emesso la carta del consumatore; 2) il network Visa/Mastercard; 3) il merchant acquirer che gestisce il POS del negozio. Quel network sa che voi avete speso soldi alla Conad, ma non ha idea se preferite la pasta Rummo o la pasta Divella, o cosa comprate per la colazione.
Sapete quale sistema di pagamento sa invece quale articolo state comprando presso tanti merchant diversi? Bingo, il Buy Now Pay Later. Per come è concepito, il buy now pay later collega direttamente consumatore e merchant e fornisce il credito a livello di singolo prodotto acquistato. Per prendere i soldi dal consumatore, Klarna usa poi i normali circuiti delle carte, ma non è lì che viene autorizzata la transazione di eCommerce.
Klarna non vi dà un fido come farebbe una banca che emette una carta di credito, ma approva ogni singola transazione (è possibile che sia più propensa ad approvare l’acquisto di un vestito e a non approvare ad esempio l’acquisto di un telefonino che è un articolo più soggetto a frodi perché facilmente rivendibile).
È un circuito che, con la scusa di fare credito, crea un link diretto fra consumatore e negozio, aprendo infinite possibilità di marketing e di lead generation.
Un esempio? Diciamo che Samsung vuole promuovere l’acquisto di un suo televisore tramite pagamenti rateali a costo zero senza passare per le finanziarie di credito al consumo e indistintamente presso tutte le più importanti catene (senza dover fare accordi con ogni catena). Samsung potrebbe farlo tramite un accordo con Klarna e voi potreste comprare il vostro televisore Samsung in qualsiasi negozio a condizioni agevolate.
Klarna vede che vestiti comprate ed è probabile che vi proponga sulla sua app articoli dello stesso tipo presso altri merchant associati a Klarna. E se l’esperienza di Klarna vi piace, se quel vestito ve lo potete permettere solo pagandolo a rate e non avete una carta di credito, tenderete a comprarlo solo nei negozi che accettano Klarna.
Queste sono ad esempio le email che mi arrivano da Klarna (sì, c’è molto spazio per migliorare):
Quindi se vi siete chiesti come mai un merchant dovrebbe pagare il 4% di commissione a Klarna, anziché il 2% classico al suo merchant acquirer per accettare Visa/Mastercard, la risposta è: perché Klarna mi porta molta lead generation, perché Klarna mi permette di conoscere meglio cos’altro compra chi acquista nel mio negozio e perché banalmente Klarna permette al mio consumatore di spendere di più. Tutta roba che in termini di marketing costerebbe tantissimo e che con Klarna è molto più facile ottenere rispetto a quelle raccolte punti un po’ demodé.
Il confine tra eCommerce e prodotti finanzi, insomma, è sempre più sottile. E tutto sommato, forse, ha ragione il CFO di Block.
Ah, indovinate chi ha comprato Stocard, una delle app più utilizzate per conservare digitalmente nel telefono le varie tessere loyalty? Sì, Klarna!